La Corte di Cassazione restringe ancora di più le possibilità di utilizzare il telefono dell’ufficio per chiamate private. E, con la sentenza 31424, intima lo stop anche della chiamata personale ‘lampo’ dal posto di lavoro.

A farne le spese, un impiegato della scuola materna comunale ‘San Giuseppe’ di Trento, F. B., nei confronti del quale è stata resa definitiva la condanna a dieci mesi di reclusione, con applicazione della interdizione dai pubblici uffici per un anno e concessione della sospensione condizionale della pena.

Convinto che una chiamata ‘lampo’ ogni tanto a casa non gli avrebbe portato nessun guaio con la legge, F.B., nel 2000, al termine dell’orario di lavoro, aveva fatto alcune chiamate brevi private finchè qualcuno se ne è accorto e ha denunciato il fatto. Il Tribunale di Trento, nel novembre del 2001, condannava l’impiegato a tre mesi di reclusione, pena sostituita con 3.500 euro di multa, per il reato di peculato.

F.B. ha protestato in Cassazione, precisando che ”mai si era appropriato in via definitiva del telefono dell’ufficio, avendone fatto solo un uso momentaneo”. Ma per la Suprema Corte, la ‘brevita” della chiamata non ha alcuna importanza. Scrive il relatore Arturo Cortese che ”ai fini della conversazione viene sicuramente impiegata energia elettrica fornita dal gestore al titolare dell’utenza”, perciò ”quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, disponendo, per ragioni dell’ufficio o del servizio, dell’utenza telefonica intestata all’Amministrazione, la utilizza per effettuare chiamate di interesse personale, egli non fa un uso indebito dell’apparecchio telefonico quale oggetto fisico, ma si appropria delle energie, necessarie a tale uso, messe dal gestore a disposizione della P.A.”. Anche se minimo, dati gli squilli ”lampo”.
Gli impiegati sono avvertiti.