Un laboratorio tessile dove erano impiegati ‘in nero’ 9 operai cinesi, costretti lavorare, dormire e mangiare negli stessi locali in cui lavoravano, per uno stipendio mensile di 450 euro. Li hanno scoperti in un capannone a Marzabotto gli uomini della Guardia di Finanza di Bologna, in un’operazione assieme alla polizia municipale del Comune dell’appennino bolognese, che ha portato alla denuncia della titolare del laboratorio e della sua collaboratrice.

Le due donne, di 63 anni e 42 anni entrambe cinesi e regolari in Italia, sono accusate di violazione delle normative anti incendio e delle sicurezza dei luoghi di lavoro, oltre che di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il primo controllo e’ avvenuto tra il 6 e il 7 maggio. Venerdi’ scorso pero’ i finanzieri sono tornati assieme ai tecnici della Ausl per un controllo dell’edificio adibito a laboratorio.

All’interno hanno trovato uno degli operai clandestini gia’ scoperto nel primo controllo e un altro clandestino, che ha tentato di fuggire guadando il fiume Reno rischiando di annegare. E’ stato salvato dagli stessi finanzieri che si sono gettati in acqua. Per questo secondo controllo la collaboratrice della titolare e’ stata nuovamente denunciata per favoreggiamento della immigrazione clandestina, mentre ai due clandestini intercettati e’ stato notificato un provvedimento di espulsione.


Il laboratorio effettuava l’invecchiamento di jeans per conto di altri ditte (gestite da cinesi): ne sono stati sequestrati 6.000. Per ogni capo di abbigliamento trattato il laboratorio incassava 1 euro, ma la titolare, il cui giro d’affari e’ stato quantificato in un milione di euro all’anno, nonostante nel 2003 avesse aperto la partita Iva, non aveva mai ottemperato ne’ ai suoi oneri contributivi, tantomeno aveva mai versato un euro per i contributi previdenziali dei suoi dipendenti.