La famosa giornalista televisiva tedesca è raffigurata con una scimmietta sulla spalla, simbolo probabilmente della petulanza invasiva del piccolo schermo. Il raffinato gallerista italiano ha uno sguardo penetrante e porta una maschera, ma sulla fronte, non davanti al viso.

Il grande manager della Formula 1, solitamente vestito di tute cariche di loghi e sponsor, è ammantato di bianco, quasi un asceta che ha rinunciato a ogni rapporto con la tecnologia.

Le sculture di Wibke von Bonin, del modenese Emilio Mazzoli e del direttore generale della Ferrari Jean Todt sono tre delle dieci opere in terracotta che ritraggono personaggi “eminenti” del mondo della cultura internazionale (galleristi, storici dell’arte, giornalisti, direttori di musei e collezionisti come Todt) e che rappresentano il cuore della mostra personale dell’artista tedesca Silke Rehberg “Ricominciare dal corpo” che si inaugura domani, venerdì 27 gennaio, alle 17, nelle chiese di San Paolo e delle Monache in via Selmi a Modena.

La mostra, curata da Julia Draganovic, direttrice del Chelsea Art Museum di New York, è organizzata dalla Provincia di Modena, in collaborazione con l’associazione culturale “La rete” e rimarrà aperta fino a domenica 26 febbraio. Visite al martedì, mercoledì e venerdì dalle 17 alle 19,30; sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20.

“Ritornare al corpo come maschera sociale – spiega la curatrice Julia Draganovic – oggi è davvero una sfida. E i ritratti dei dieci “Kunstdirektoren”, che richiamano l’antica arte di rappresentare i personaggi pubblici in vesti “più che umane”, mettono in primo piano la fisicità di questi simboli sociali, di queste icone il cui fascino normalmente deriva dalla lontananza, dall’importanza, non dalla umanità. E l’artista – aggiunge Julia Draganovic – attraverso il sorriso (di pirandelliana memoria) applica il filtro dell’umanizzazione e della smitizzazione, della sdrammatizzazione…”.

Nelle opere di Silke Rehberg, 42 anni, originaria di Ahlen in Germania, vincitrice di diversi concorsi, spesso i personaggi entrano ora nei panni di santi, ora di indigeni primitivi, ora di angeli. “La maschera – spiega Julia Draganovic – è a tutti gli effetti una certificazione d’identità; dunque qual è l’effetto quando la maschera muta o cala, quando i codici identificativi di un ruolo pubblico diventano ibridi e si è costretti a guardare alla sostanza?”.

In occasione dell’inaugurazione della mostra, domani, alcuni dei dieci personaggi ritratti nelle sculture parteciperanno a una suggestiva cena servita proprio negli spazi dell’allestimento nella chiesa delle Monache.