L’economia modenese è in ripresa come dimostrano i dati del secondo trimestre 2006 già diffusi dalla Camera di Commercio, anche se bisogna considerare che l’aumento del 2,4% di produzione industriale è raffrontato allo stesso periodo dell’anno precedente con crescita addirittura pari allo 0%. E lo stesso aumento del fatturato quasi del 6%, è raffrontato ad un una crescita solamente dell’1% nello stesso periodo dell’anno precedente. Rimangono comunque preoccupanti le situazioni del tessile-abbigliamento e del settore ceramico dove si continuano a registrare contrazioni di volumi produttivi e crisi aziendali.

Se si leggono i dati della produzione comparati a quelli del mercato del lavoro, sono ancora molti gli interrogativi in campo. Dai dati forniti dall’Osservatorio Cgil della Provincia di Modena nel primo trimestre 2005 i disoccupati erano 18.694, mentre a marzo 2006 sono 26.708 con un aumento di 8.014 unità e un evidente afflusso di disoccupati anche da altre province. Il saldo però tra cessazioni di rapporti di lavoro e avviamenti è positivo per oltre 7.000 unità.
Le assunzioni a tempo indeterminato sono passate dal 33% nel primo trimestre del 2004, al 28,2% nel primo trimestre del 2005 al 26,6% nel primo trimestre del 2006 sugli oltre 100.000 avviamenti complessivi all’anno, il che dimostra che la tendenza alla forte precarizzazione del mercato del lavoro è ancora in aumento.
Rimane infatti alto anche nel 2006 il numero di imprese (si stimano in oltre 400 sul territorio provinciale con oltre 5.000 addetti) che svolgono attività in appalto nei settori della logistica e facchinaggio, ma anche nella produzione, sostituendo lavoratori a tempo indeterminato con lavoratori precari con minori diritti e tutele e a costi più bassi. In molti casi si tratta di appalti illegittimi come è stato dimostrato con il caso Xanta che ha coinvolto centinaia di azienda e migliaia di lavoratori nella somministrazione illecita di manodopera, per il quale è ancora in corso un’indagine della magistratura.
Si pensi a come è regolato un settore in espansione come quello del Commercio e del Terziario in genere, dove ormai pressochè tutti gli avviamenti al lavoro sono operati nelle diverse forme del lavoro precario, e dove prevale, nel piccolo commercio, nei pubblici esercizi, nel lavoro domestico e di cura, il lavoro nero ed irregolare. Nel pubblico impiego, anche a causa del Patto di Stabilità che vincola gli Enti Locali, i lavoratori sono sempre più assunti con forme di lavoro precarie, come le collaborazioni a progetto o i tempi determinati.
La conferma della precarietà diffusa nel mercato del lavoro e gli effetti che essa produce, sono dimostrati anche dall’alto numero di infortuni che nella nostra provincia accadono ogni anno, oltre 25.000 (dati Inail), molti dei quali potrebbero essere evitati se ai lavoratori venisse garantita adeguata informazione/formazione che in un rapporto precario è invece tralasciata. Si arriva a casi sconcertanti (e speriamo isolati) in cui l’azienda trattiene in busta paga al lavoratore il costo dei mezzi di protezione individuale, che l’azienda stessa è tenuta per legge a dare in dotazione a salvaguardia del lavoratore.

Che cosa ha perso Modena
Nel corso di questi anni la nostra provincia ha perso presidi produttivi importanti non solo per il valore storico ed il legame con la crescita sociale e produttiva della provincia, ma anche per la qualità delle produzioni.
In alcuni casi si tratta di multinazionali che hanno acquisito a Modena i marchi ma hanno disatteso gli impegni andandosene e producendo altrove, in altri casi si tratta di imprenditori locali che non hanno saputo garantire la continuità e il rinnovamento nella direzione dell’azienda anche a livello familiare.
Alcune di queste aziende sono notissime. Solo quest’anno hanno chiuso la Sca cartiera di Castelfranco e l’Italtractor per la scelta di 2 multinazionali che hanno deciso di riorganizzare diversamente le loro produzioni. Con la chiusura dello zuccherificio di Finale Emilia finisce la produzione bieticolo-saccarifera nella nostra provincia. Del tessile si fatica a ricordare i nomi delle aziende “storiche” che hanno chiuso: Carma, Samec, Belmondi, Saffo, Carretti e Giudi.….
A Modena non è più attiva da tempo una delle poche aziende italiane produttrici di autobus la Carrozzeria Autodromo, pochi anni fa ha chiuso un marchio che ha fatto epoca nelle macchine di lusso come De Tomaso, ma anche la Lugli di Carpi produttrice di carrelli elevatori.
Il cannibalismo di marchio è stato clamoroso nel caso di Adespan, acquisita poi spenta, con un prodotto ancora competitivo e richiesto, da parte della impresa multinazionale proprietaria.
Nella produzione delle lastre di vetro ha chiuso la Schot, anche in questo caso per una scelta di delocalizzazione della multinazionale. La Coop Muratori di Mirandola era una realtà sociale e produttiva importantissima.

Da precari a stabili, da occupati a occupati
Precarietà e crisi industriali – pur in presenza di segnali di ripresa – sono ancora tratto distintivo dell’economia e delle condizioni di lavoro della nostra provincia.
La forza di un sistema produttivo non si misura però esclusivamente con percentuali di crescita, ma soprattutto in aree come quella modenese di già avanzato sviluppo con la qualità e competitività delle singole imprese e del sistema, fattore essenziale per garantire ciò è la qualità del lavoro e la valorizzazione del capitale umane.
Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto lo scorso anno alcuni accordi importanti con Provincia di Modena, Confindustria, Associazioni Artigiane e Cooperative per porre al centro l’esigenza di qualificare il sistema produttivo (Patto Provincia), battere il lavoro nero e irregolare (Protocollo Centrali Cooperative e Artigiani su Autotrasporto e Coop “spurie”), utilizzare strumenti per il governo dei processi di crisi e meglio tutelare i lavoratori coinvolti attraverso la formazione, la mobilità interaziendale, l’utilizzo degli ammortizzatori sociali (Accordo Confindustria).
Questi protocolli devono diventare strumenti veri di confronto e decisione sia per favorire la qualità dello sviluppo, sia per affrontare le situazioni di difficoltà che le imprese attraversano. Obiettivi da perseguire anche con una maggiore stabilità dei rapporti di lavoro (quindi riducendo la precarietà) e la possibilità di passare da posto di lavoro a posto di lavoro quando ci si trova espulsi a seguito della crisi di un settore o di un’azienda. Servono, oltre che tavoli di confronto, misure sia da parte delle istituzioni che orientamenti da parte delle associazioni imprenditoriali, affinché le singole imprese non seguano le semplici scorciatoie della precarietà o dei licenziamenti a fronte di situazioni di difficoltà di mercato.