«Anche a Modena ci sono cooperative che, specialmente nel facchinaggio e nel sociale, applicano contratti Unci come quello appena dichiarato incostituzionale dal Tribunale del Lavoro di Torino»? Lo chiede Gaetano De Vinco, presidente di Confcooperative Modena, cogliendo con favore la sentenza del tribunale torinese che nei giorni scorsi ha condannato una cooperativa a liquidare gli arretrati a una dipendente retribuita per anni con un compenso inferiore ai 5 euro lordi all’ora. «Il tribunale ha stabilito che quella paga vìola l’articolo 36 della Costituzione, è cioè lesiva della dignità della persona – spiega De Vinco –. Purtroppo quella paga oraria è prevista da un contratto collettivo nazionale firmato dall’Unci (Unione nazionale cooperative italiane) con sindacati di cui non tutti conoscono l’esistenza: Confsal, Cisal, Fesica, Cnai. Evidentemente l’Unci non si rende conto degli effetti devastanti che produce l’applicazione di contratti di questo tipo». Si tratta di un Ccnl valido a tutti gli effetti di legge, ma che certo non riconosce salari decenti ai dipendenti delle cooperative che lo applicano. Confcooperative, invece, applica contratti collettivi nazionali firmati con Cgil-Cisl-Uil di categoria, che stabiliscono salari regolari per i lavoratori e più onerosi per le imprese.

«Nel facchinaggio e logistica, così come nel settore del sociale, la differenza tra i contratti applicati dalle nostre cooperative e quelli Unci è ovviamente a nostro sfavore – sottolinea De Vinco – È chiaro che in un simile confronto le nostre associate partono nettamente svantaggiate nelle gare per gli appalti, non solo nel privato, ma anche nel pubblico. Questo fenomeno è ben noto con la definizione “dumping contrattuale”, cioè concorrenza sleale basata unicamente sul basso costo del lavoro».

Per De Vinco questa situazione causa una perdita di competitività alle cooperative associate, con rischi per la tenuta dell’occupazione. Le imprese si trovano costrette a volte a dover scegliere tra l’esigenza di mantenere le proprie quote di mercato e la volontà di corrispondere paghe adeguate ai propri dipendenti, quasi sempre anche soci. Il danno maggiore, tuttavia, non è quello economico: la presenza di queste forme di concorrenza sleale generano nel committente pubblico (e qualche volta anche nelle minoranze consiliari che controllano l’attività amministrativa) la convinzione che ci sia ulteriore spazio per risparmiare, senza cogliere che in questi casi il risparmio è realizzato sulla pelle degli addetti.

«Non parliamo poi delle aziende private, – continua De Vinco – oggi schiacciate dagli effetti della crisi che stiamo vivendo e alla ricerca della massima contrazione dei costi. Ecco perché, senza dover rivolgersi al giudice, chiediamo ai committenti privati e pubblici delle nostre cooperative di riconoscere le tariffe individuate localmente per i servizi erogati dalle nostre associate. Anche la tenuta sociale, di cui non si fa carico l’Unci, – conclude il presidente di Confcooperative Modena – deve stare a cuore a tutti».