Le donne imprenditrici resistono alla crisi e regalano all’Italia il record europeo per il maggior numero di imprese rosa, è quanto emerge dall’Osservatorio sull’imprenditoria femminile curato dall’Ufficio studi di Confartigianato. Un quadro a cui contribuisce in maniera considerevole la performance delle imprese femminili dell’Emilia Romagna, seconda in classifica per il miglior habitat affinché si sviluppi l’iniziativa delle donne in campo economico.

Secondo l’Osservatorio, nel 2011 in Italia operano 1.531.200 imprenditrici e lavoratrici autonome. Al secondo posto la Germania con 1.383.500 imprenditrici, seguita da Regno Unito (1.176.500), Polonia (1.035.200), Spagna (912.500) e Francia (827.200). In particolare, le donne alla guida di imprese artigiane sono 368.677. Questa leadership italiana nell’Ue viene confermata anche dal peso che l’imprenditoria femminile ha sul totale delle donne occupate: in Italia è del 16,4%, di gran lunga superiore al 10,3% della media dell’area Euro.

Confartigianato ha rilevato l’habitat migliore in Friuli Venezia Giulia, che guida la classifica delle regioni con le condizioni ideali perché si sviluppino l’imprenditorialità e l’occupazione femminile. Secondo posto per l’Emilia Romagna e l’Umbria. Tra le province ‘amiche’ del lavoro delle donne svettano ai primi tre posti Udine, Gorizia e Rimini. Agli ultimi posti finiscono invece la Campania, la Sicilia e la Puglia. E tra le province con le peggiori condizioni per l’occupazione femminile si trovano Napoli, Palermo, Caltanissetta.

“Credo siano dati di cui andare fieri – commenta Franca Compestella, presidente regionale di Donne Impresa Emilia Romagna. – siamo in presenza di una imprenditoria femminile forte e dinamica che va incoraggiata. Per farlo servono ovviamente quelle semplificazioni burocratiche e quelle riduzioni di costo che soffocano le iniziative delle imprese siano esse condotte da uomini o donne. Se invece ci riferiamo alle specifiche esigenze delle donne che lavorano direi che servono maggiori interventi sul welfare che permettano loro di non rimanere schiacciate dall’impossibilità di conciliare lavoro e famiglia. Non possiamo nasconderci dietro un dito, sono le donne a portare il carico maggiore quando si tratta della cura dei figli, dei familiari anziani o nona autosufficienti, in questi campi ci attendiamo maggiore attenzione dalle amministrazioni, soprattutto quelle locali”.

Purtroppo ci sono anche dati negativi. In Italia, infatti, la partecipazione femminile al mercato del lavoro rimane tra le più basse d’Europa. Il tasso di inattività delle donne nel nostro Paese è del 48,9%, a fronte della media europea del 35,5%. Peggio di noi fa soltanto Malta.

In pratica, siamo in ritardo di 23 anni rispetto all’Europa: il nostro attuale tasso di inattività delle donne è uguale a quello registrato nel 1987 dai Paesi dell’allora Comunità europea. Le cose peggiorano, e di molto, nel Mezzogiorno: la Campania, tra le 271 regioni europee, fa registrare il più alto tasso di inattività femminile: 68,9%. All’altro capo della classifica la Provincia autonoma di Bolzano dove il tasso di inattività si dimezza al 34,9%. A livello provinciale la maglia nera va a Napoli, dove il tasso di inattività delle donne sale addirittura al 72,4%. Ravenna, invece, conquista il primato positivo della provincia con la più bassa percentuale di donne inattive: 30,7%.

A tenere distanti le donne dal mondo del lavoro vi è soprattutto il basso investimento in quei servizi di welfare che dovrebbero favorire la conciliazione tra attività professionali e cura della famiglia. Anche in questo caso il nostro Paese è nelle posizioni peggiori della classifica europea. Secondo l’Ufficio studi di Confartigianato, con appena l’1,3% del Pil speso dallo Stato in interventi per famiglia e maternità ci collochiamo al 23° posto insieme con Bulgaria, Portogallo e Malta. In termini negativi ci batte soltanto la Polonia. In pratica, in Italia la spesa pubblica per famiglia e maternità è pari a 320 euro ad abitante, vale a dire 203 euro in meno rispetto alla media dell’Europa a 27. Le cose vanno diversamente nei maggiori Paesi europei che spendono più del doppio dell’Italia: la Germania investe per famiglia e maternità il 2,8% del PIL, la Francia il 2,5%. Il divario diventa enorme con i Paesi del Nord Europa: in Danimarca il 3,8% del PIL viene destinato a spesa pubblica per la famiglia, in Irlanda la quota è pari al 3,1%, in Finlandia e Svezia è del 3%.

Allarmanti i dati dell’Osservatorio di Confartigianato sulla carenza di servizi pubblici per l’infanzia (asili nido, micronidi o servizi integrativi): la percentuale di bambini fino a 3 anni che ne usufruiscono è del 12,5%, vale a dire appena un terzo dell’obiettivo di Lisbona del 33% programmato per il 2010. Non va meglio per i servizi di cura e assistenza agli anziani. L’indicatore esaminato da Confartigianato è dato dalla percentuale di anziani trattati in assistenza domiciliare integrata (ADI) rispetto al totale della popolazione con 65 anni e oltre. Anche tale indice, in media nazionale, è sostanzialmente modesto e pari al 4,3%.

Donne con cariche nelle imprese artigiane attive per regione