Spiace sentire che il Premier Monti, nel suo viaggio in Oriente, abbia esternato una posizione così rigida nei confronti del dissenso che è nato in merito alla riforma del mercato del lavoro, ipotizzando addirittura le dimissioni – lo dichiara il Responsabile del dipartimento Economia e Finanza il Dott. Alessandro Bartoli.

Noi dell’Italia dei Valori di Modena, in linea con la posizione assunta dal Partito anche in sede nazionale, auspichiamo un ritorno alla democrazia che non può che prescindere da libere elezioni, ma allo stesso tempo non possiamo accettare che il nostro Primo Ministro “stringa i ranghi” di chi lo sostiene, paventando l’ipotesi di un suo abbandono per forzare la mano sulla questione dell’art. 18.

Il nostro paese è costituito da un tessuto imprenditoriale altamente frammentato e dinamico (aziende al di sotto dei 15 dipendenti), mentre relativamente poche sono le medie e grandi aziende: ne consegue che già in moltissime realtà vi è la possibilità di licenziare e rispondere in maniera flessibile alle esigenze del mercato globale.

Noi pensiamo che il vero problema della bassa produttività che attanaglia il nostro Paese – l’unico insieme alla Spagna all’interno dell’Europa a 15che ha manifestato una crescita negativa della produttività media dal 95 al 2009 – sia da ritrovarsi nella difficoltà delle piccole e medie aziende ad accedere al credito presso gli istituti bancari, gli unici ad aver ricevuto veramente in questi ultimi mesi una “paccata di miliardi” – che si aggiunge ad una eccessiva burocratizzazione delle procedure ed inaccettabile pressione fiscale.

Ricordo – prosegue Bartoli – che i sindacati sono nati per una precisa esigenza sociale, ovvero tutelare il lavoratore nel rapporto di forza squilibrato a favore dell’imprenditore e del suo capitale; alla base di tutto ciò vi è la possibilità di esprimere le proprie idee senza paura di eventuali ritorsioni di chi ha il coltello dalla parte del manico, garantendo il nesso causale tra indipendenza economica ed emancipazione democratica.

Se ne conclude che l’art. 18 non può essere sacrificato – nella parte relativa al reintegro del lavoratore nel proprio posto di lavoro in caso di licenziamento discriminante – sull’altare di un operazione che mira a “ripulire l’immagine dell’Italia dopo il ventennio di Berlusconismo”, in quanto creerebbe solo un grandissimo danno non solo al mondo del lavoro ma alla democrazia tutta, a fronte di un più che modesto guadagno in termini economici e produttivi.