Aveva contraffatto le schede delle slot machine per aumentare i propri ricavi, alimentando nei giocatori l’illusione di vincite più consistenti. Un’azienda del ravennate specializzata nella produzione e vendita di software per videogiochi è stata prima “intercettata” dalla Guardia di Finanza e successivamente controllata dall’Agenzia delle Entrate di Ravenna. L’accertamento dell’Agenzia, che ha calcolato in 21 milioni di euro l’importo da versare all’erario tra maggiori imposte, interessi e sanzioni, è stato ora convalidato dalla Commissione Tributaria di Ravenna.

Il “trucco”. L’azienda, secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza ravennate, ha prodotto e commercializzato schede che consentivano vincite fino a 600 euro, a dispetto di un limite di legge che fissa in 50 euro la vincita massima. Le vincite erano programmate in modo tale – sottolineano i giudici tributari – che “l’abilità del giocatore non svolga alcun ruolo, perché è la sola aleatorietà che la fa da padrona, trasformando i giochi in questione in veri e propri giochi di azzardo”.

I controlli dell’Agenzia delle Entrate. Il successivo accertamento dell’Agenzia delle Entrate di Ravenna si è basato su una disposizione di legge (articolo 14, comma 4bis, della Legge 537/1993, introdotto dall’art.2, comma 8, della Legge 289/2002, Finanziaria 2003) secondo cui i costi riconducibili ad attività illecite – nel caso specifico, i costi sostenuti per la produzione e la commercializzazione delle schede “taroccate” – non possono essere dedotti dal reddito di impresa. In effetti, l’incidenza di questi costi sul profilo fiscale della società era tutt’altro che trascurabile: nei tre anni oggetto di indagine il reddito accertato, al netto quindi dei costi non riconosciuti, è pari a 56,8 milioni di euro, contro i 24,6 milioni si euro dichiarati.

La sentenza della Commissione Tributaria Provinciale. I giudici tributari hanno riconosciuto il corretto operato dell’Agenzia delle Entrate, evidenziando che sono stati recuperati a tassazione i soli costi riconducibili alle ipotesi di reato e non la totalità dei costi e delle spese registrate in bilancio, secondo un indirizzo che ha trovato accoglimento nella recente modifica normativa in materia di indeducibilità dei costi da reato (art. 8 del Decreto Legge 2 marzo 2012 n. 16).