Mi ha colpito particolarmente la lettera pubblicata alcune settimane fa dal quotidiano reggiano Prima Pagina, attraverso la quale una signora, da mesi in cura col Metodo Di Bella (consapevole che nel suo specifico caso la soluzione scelta è la più efficace e la meno invasiva), denuncia la sua situazione di malata, costretta ad autofinanziarsi le cure. Questo perché il sistema sanitario regionale, per ragioni poco chiare, ha deciso di non riconoscere questo tipo di trattamento e, quindi, di non sostenerlo economicamente, nonostante i costi risultino sensibilmente ridotti rispetto alle terapie tradizionali, in uso nei nostri ospedali.

La signora in questione è pertanto costretta ad intervenire di tasca propria per garantirsi le cure necessarie ad alleviare il suo problema. Un evidente disequilibrio che la pone in una situazione differente rispetto a molti altri cittadini. In questo caso i diritti del paziente non vengono tutelati.

In particolare nel caso specifico verrebbero violati diritti fondamentali: il Diritto all’accesso. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai servizi sanitari che il suo stato di salute richiede. I servizi sanitari devono garantire eguale accesso a ognuno, senza discriminazioni sulla base delle risorse finanziarie, del luogo di residenza, del tipo di malattia o del momento di accesso al servizio. Ogni individuo ha diritto a servizi adeguati, indipendentemente dal fatto che sia stato ammesso in un piccolo o grande ospedale o clinica. E poi il Diritto alla libera scelta. Ogni individuo ha il diritto di scegliere liberamente tra differenti procedure ed erogatori di trattamenti sanitari sulla base di adeguate informazioni. Il paziente ha il diritto di decider e a quali esami diagnostici e terapie sottoporsi, nonché quali medici di famiglia, specialisti od ospedalieri utilizzare. I servizi sanitari hanno il dovere di garantire questo diritto. Un paziente che non ha fiducia nel suo medico ha il diritto di designarne un altro. Il Diritto a evitare le sofferenze e il dolore non necessari. Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile, in ogni fase della sua malattia. Il Diritto a un trattamento personalizzato. Ogni individuo ha il diritto a programmi diagnostici o terapeutici quanto più possibile adatti alle sue personali esigenze. I servizi sanitari devono garantire, a questo fine, programmi flessibili, orientati quanto più possibile agli individui, assicurando che i criteri di sostenibilità economica non prevalgano sul diritto alle cure.

Il nostro sistema sanitario, rifiutando il Metodo Di Bella, i cui benefici sono riconosciuti da numerosi lavori clinici pubblicati da riviste internazionali accreditate e con accesso a Medline, il più prestigioso motore di ricerca scientifico mondiale, si dimostra lacunoso, poco informato e irrispettoso dei diritti dei pazienti. E’ inoltre doveroso ricordare come certi dati statistici, diffusi senza controllo istituzionale, non corrispondano a quelli appurati da rigorosi studi di sopravvivenza prolungatisi per anni e pubblicati da riviste scientifiche considerate al vertice dell’editoria del settore. Infatti il British Medical Journal, in uno studio che ha coinvolto 1.500.000 pazienti oncologici, ha appurato che la (mera) sopravvivenza a 5 anni è del 29% (meno di tre malati su dieci), mentre Clincal Oncology ha cifrato fra il 2,1% e il 2,3% il contributo della chemioterapia al raggiungimento dei 5 anni di sopravvivenza. Questi risultati, inoppugnabili, tolgono ogni giustificazione a veti ed anatemi, dimostrando che, a parte il presidio chirurgico, non esistono cure farmacologiche del cancro definibili “efficaci e convalidate”. In realtà la maggior parte dei malati di tumore è, di fatto, costituita da “orfani di terapia”: condizione che non consente né sotto il profilo medico né sotto quello morale di impedire l’accesso a terapie appoggiate a dati scientifici. Oggi il SSN si fa carico di farmaci (gli anticorpi monoclonali), basati sullo stesso concetto di repressione dei fattori di crescita del Mdb, ma dai costi stratosferici, i quali assicurerebbero un aumento di sopravvivenza di settimane o di qualche mese: ma del Metodo Di Bella, che costa infinitamente di meno e che, per stessa verifica dei suoi più intransigenti oppositori, ha dimostrato – volendoci limitare a questo – una sopravvivenza più che doppia rispetto al più acclamato anticorpo monoclonale, non si deve parlare.

Abbiamo di fronte, quindi, malati emarginati dal sistema. Ci domandiamo il motivo. Perché essere tanto severi nei confronti di soggetti che hanno trovato una risposta nel Metodo di Bella? Cosa c’è dietro? Interessi particolari? Motivazioni ideologiche?

Molti pazienti sono stati costretti a rivolgersi al giudice per completare la terapia in modo gratuito. In tanti hanno ottenuto giustizia. Persone, che nonostante la malattia, hanno dovuto affrontare una seconda battaglia, quella giudiziaria. Dal 1998 sono più di duemila i ricorsi fatti dai pazienti dibelliani, la regione che annovera più sentenze favorevoli è la Puglia, seguita dalla Sicilia e dal Lazio. La più ostile al metodo Di Bella è, purtroppo, la nostra Emilia.

Sono veramente rattristato dalla poca sensibilità dimostrata dalle istituzioni.

Ricordo che molti pazienti in cura da Di Bella non possono sottoporsi alla chemioterapia, o se lo hanno fatto non hanno ottenuto risultati tangibili, e sono pertanto obbligati a intraprendere una via alternativa. Un malato non ha alcun interesse a strumentalizzare la propria salute, se non vede i miglioramenti non prende farmaci inutilmente. Non si comprende, quindi, tanta ostilità da parte della Regione Emilia-Romagna.

(Fabio Filippi)