Sette morti, forse per qualcuno non fanno notizia perché erano cinesi, ma sono sette vite umane, persone, morte per un lavoro di 15 ore al giorno per uno o due euro all’ora: perché è così che si lavora in quelle “fabbriche” tessili. Così come si muore nelle campagne dell’agro-nocerino o della Capitanata, lavorando con i fitofarmaci a due euro all’ora per 10 ore al giorno nelle serre. Così come si muore nei cantieri edili lavorando a 300 euro al mese.

Sono “episodi” che rischiano di essere derubricati come fatalità, incidenti, ma che in realtà ci dicono in modo drammatico, in un paese che si definisce civile, che si muore di lavoro e, soprattutto nelle situazioni come quelle di Prato, di S. Nicola Varco, di Rosarno, si muore lavorando in condizioni disumane, sfruttati, per produrre abbigliamento, alimenti, immobili, che entrano sul mercato nel circuito della legalità e pronti al consumo.

Dietro quei prodotti c’è quanto di peggio si possa pensare: schiavitù, cancellazione della dignità, sfruttamento, illegalità.

Se poi ci si trova di fronte a contratti giudicati indegni dalla magistratura come quelli sottoscritti dall’Unci e da sindacati autonomi, nei quali viene legittimata la retribuzione di 4 euro all’ora, ci si rende conto di come si è ridotto questo paese.

Dopo la nostra azione di contrasto, bene ha fatto il ministro Zanonato ad emettere un decreto con il quale si revoca la titolarità della rappresentanza all’Unci, rendendo nulli i contratti sottoscritti da questa associazione, ma è ormai inderogabile aggredire alla radice l’economia fondata sull’illegalità, il lavoro nero, lo sfruttamento.

La situazione di crisi che ormai da cinque anni perdura nel nostro paese non può giustificare una rincorsa ad una competizione fondata sulla cancellazione dei diritti e delle tutele: nessuno sviluppo è possibile se fondato su un’economia malata.

Anche nella nostra regione la penetrazione della malavita organizzata nel sistema economico è una realtà e la crisi ne favorisce il radicamento. Per questa ragione il lavoro che come parti sociali e Regione Emilia Romagna stiamo facendo, con il protocollo condiviso sulla legalità, la legge sugli appalti, la legge sull’attrattività, può rappresentare l’embrione di un modello di sviluppo utile all’intero paese.

Solo partendo dal riconoscimento della dignità del lavoro, garantendo tutele e diritti, possiamo evitare le tragedie come quelle di Prato e diffondere una cultura in grado di cambiare pelle al nostro paese. Non si può parlare di futuro se continuiamo ad assistere impotenti al ripetersi di queste tragedie.