Lo specchietto per le allodole lanciato da Alfano non può essere derubricato ad una boutade ferragostiana, ma rientra in un disegno conservatore di massimo liberismo che va contrastato e rimandato al mittente.
In questo paese continua a perseverare l’idea che per superare la crisi bisogna eliminare i diritti di chi lavora.
L’articolo 8 di Sacconi, la “riforma” Fornero hanno prodotto disastri che sono sotto gli occhi di tutti ed invece di invertire la rotta anche questo governo, prima con il decreto Poletti (con il quale si è tolta la causale sui contratti a termine), poi con il “progetto” Alfano, persevera in un’idea devastante e l’unico effetto che produce è quello di marginalizzare il lavoro riducendolo a puro strumento di mercato.
Sono anni che denunciamo il fatto che ci sono decine di tipologie di rapporto di lavoro senza tutele che producono solo instabilità e povertà.
Nel paese si è radicata l’illegalità nel sistema degli appalti con salari da fame (3€ all’ora), il caporalato in diversi settori e territori è l’unico strumento di “regolazione” del mercato del lavoro, la rincorsa al contratto di lavoro più basso (meno salario e meno diritti) pare sia diventato uno sport nazionale, le norme sulle cessioni di ramo d’azienda vengono utilizzate per non applicare i contratti, la cooperazione spuria diventa il soggetto più competitivo sul mercato, il 40% dei lavoratori italiani è senza tutele, la disoccupazione ha raggiunto livelli insopportabili: di fronte a tutto ciò per qualcuno il problema resta l’articolo 18.
La Cgil ha presentato, oltre la denuncia alla Comunità Europea sull’illegittimità del decreto Poletti, il “Piano per il lavoro” che parte dal principio che la qualificazione del lavoro e le tutele civili sociali del lavoratore rappresentano le leve su cui operare per superare la crisi e produrre uno sviluppo sostenibile.
Aldilà delle necessarie riforme fiscali e degli ammortizzatori sociali, del superamento della “riforma” Fornero, la qualificazione del lavoro ed il riconoscimento dei diritti devono essere assunti da questo paese come priorità per imporre una svolta radicale in grado di dare respiro all’intero sistema economico e sociale.
Il nostro modello passa attraverso accordi come quello della Ducati-Lamborghini, sottoscritto in Emilia Romagna dove, attraverso anche la partecipazione del pubblico, il periodo di formazione-lavoro viene retribuito e finalizzato alla stabilizzazione occupazionale: è un modello alternativo al precariato e fondato sul riconoscimento dei diritti individuali e collettivi.
Il nostro modello passa attraverso la legge sugli appalti nel facchinaggio, deliberata dalla Regione Emilia Romagna e condivisa con tutte le parti sociali, finalizzata ad alienare le cooperative spurie negli appalti pubblici e privati.
Per farla breve la questione sta nel modello sociale ed economico sul quale si deve puntare per uscire dalla crisi: il liberismo ha drammaticamente fallito e milioni di italiani ne stanno pagando le conseguenze e chi sta pagando è chi ha sempre pagato, è ora di finirla.
Bisogna che qualcuno faccia fare un giro ad Alfano e a chi gli da ragione per fargli vedere come si vive senza tutele, senza dignità e senza salario: altro che articolo 18.

(Antonio Mattioli, Responsabile politiche contrattuali – Segreteria Cgil Emilia Romagna)