Se, da una parte, i segnali dell’economia emiliano romagnola ci dicono che si comincia a intravedere una ripresa in diversi settori del manifatturiero e dei servizi, dall’altra, non possiamo sottacere la persistente sofferenza che vive il mondo del lavoro.
L’incremento dell’export e degli investimenti nel sistema produttivo spesso non è accompagnato da un incremento dei livelli occupazionali.
Nella nostra regione, nel primo semestre del 2015, il ricorso agli ammortizzatori sociali ha coinvolto circa 35.000 lavoratrici e lavoratori, per un totale di 26 milioni di ore utilizzate.
Crisi strutturali, come nel settore edile, metalmeccanico e della subfornitura, sono accompagnate da crisi congiunturali spesso legate a ragioni che nulla hanno a che fare con il lavoro e il mercato.
I casi della Cpl Concordia, di Baraldi, di Bianchini, delle cooperative spurie, rappresentano il segnale concreto di un’economia malata e condizionata dall’illegalità e dallo sfruttamento.
L’inchiesta “Aemilia” ha palesato la connivenza di una parte del sistema produttivo e dei servizi con la malavita organizzata.
La ripresa “segnalata” da Unioncamere deve fare i conti con una situazione che definire complicata è un eufemismo.
Non è certo con il Jobs Act e con la riduzione delle tutele sociali (meno ammortizzatori e più licenziamenti) che si risponde alle criticità che gli anni di crisi hanno “messo in pancia” a chi ha responsabilità sociali ed istituzionali nel ricercare soluzioni e strumenti per cambiare rotta.
In Emilia Romagna abbiamo convenuto con il Patto per il Lavoro un modello alternativo per uscire dalla crisi e per rilanciare il buon lavoro.
Con la sottoscrizione del Patto per il Lavoro le parti sociali e le istituzioni dell’Emilia Romagna hanno riaffermato i contenuti del “Patto per attraversare la crisi” e del “Patto per la crescita”, nei quali assume rilevanza la volontà di non procedere ad azioni unilaterali in caso di crisi aziendali, ricercando soluzioni condivise finalizzate a mantenere i livelli occupazionali.
Il Patto inoltre, tra l’altro, afferma la contrattazione quale strumento utile allo sviluppo e alla valorizzazione del lavoro: si stabilisce, come leva su cui agire la competizione, la creazione di valore aggiunto attraverso investimenti, ricomposizione dei cicli produttivi e creazione di nuovo lavoro.
Sul fronte della legalità e appalti, il Patto ribadisce i contenuti della legge 9 del 2011 sull’edilizia e della legge 3 del 2014 sul facchinaggio, condividendo la volontà di addivenire ad un Testo Unico sugli appalti pubblici e privati, in grado di costituire per la nostra regione un efficace strumento per alienare il lavoro nero, illegale e combattere lo sfruttamento.
In particolare sul cambio appalti, con il Patto, tutte le parti hanno condiviso l’introduzione della clausola sociale a tutela dell’occupazione.
Adesso che abbiamo lo strumento, vanno colti i segnali di ripresa accompagnandoli con politiche attive utili a consolidarli, ma soprattutto dobbiamo ripartire dal lavoro, dal suo valore aggiunto, per garantire alla nostra regione uno sviluppo socialmente sostenibile, equo e competitivo.

(Antonio Mattioli, Responsabile Politiche contrattuali ed industriali – Segreteria Cgil Emilia Romagna)