antonio-la-marcaNuove raccomandazioni cliniche per la “Fecondazione in Vitro” sono espresse da una ricerca clinica condotta da un gruppo di studio inglese dell’Aberdeen Fertility Centre (UK) e del King’s College di Londra UK) che si è avvalso anche della collaborazione di ricercatori Unimore – Università degli studi di Modena e Reggio Emilia (I), che si è posto l’obiettivo di verificare quale fosse la relazione tra la risposta alla stimolazione ovarica della futura madre e le caratteristiche del nascituro.

L’interessante studio, che è stato recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista “Human Reproduction”, porta la firma della dottoressa Sesh Kamal Sunkara dell’Aberdeen Fertility Centre, del prof. Antonio La Marca della Struttura complessa di Ginecologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena e del prof. Paul T. Seed del King’s College London.

Gli autori, che hanno potuto avere accesso al database nazionale della Human Fertilisation and Embryology Authority, il registro inglese delle procedure di procreazione assistita – al momento il più vasto e completo al mondo -, che dà ai ricercatori la possibilità di studiare le delicate tematiche della procreazione assistita su dati che superano i 400.000 casi clinici, ha consentito di determinare che l’eccessiva stimolazione ovarica aumenta il rischio di nascita pretermine e di basso peso neonatale nelle donne, che sottoposte a “Fecondazione in Vitro” hanno risposto con il recupero di un numero eccessivo di ovociti.

Sulla base degli oltre 65.000 bambini nati, i ricercatori hanno potuto concludere che il 9% circa delle gravidanze termina prima della 37° settimana e l’1.6% prima della 32 ° settimana. Inoltre, il 9% dei bimbi pesava alla nascita meno di 2.500 gr e l’1.7% meno di 1.500 gr. Si conferma, dunque, che l’incidenza di queste complicanze è associata all’età della madre, alla causa di infertilità ed alla gravidanza multipla. Inoltre, si è visto che la risposta ovarica eccessiva è un fattore di rischio indipendente per la nascita pretermine e il basso peso alla nascita.

“Il dato assolutamente nuovo – spiega il prof. Antonio La Marca di Unimore, co-autore dello studio – è l’associazione con il numero di ovociti recuperati nella procedura di fecondazione in vitro. In particolare la iper-risposta ovarica si associava ad un rischio aumentato del 15-30% di basso peso neonatale e parto”.

Gli autori hanno ipotizzato che gli eccessivi valori “sovrafisiologici” di estradiolo e progesterone, che si accompagnano alla iper-risposta ovarica (cioè quando un numero eccessivo di follicoli si sta sviluppando nelle ovaie) può alterare la recettività endometriale (la mucosa uterina dove l’embrione si annida), creando il presupposto per un alterato outcome perinatale.

“L’eccessiva crescita follicolare ovarica (> 20 ovociti recuperati) – commenta il prof. Antonio La Marca – rappresenta già attualmente per i gli specialisti una condizione clinica di rischio relativo per l’aumentata incidenza di complicanze materne, quali la sindrome da iperstimolazione ovarica. Il nostro studio aggiunge che tale situazione si associa anche ad un aumentato rischio di nascita pretermine e di basso peso per il nascituro”.

In altre parole, secondo gli autori della ricerca la stimolazione ovarica troppo “forte” può avere dei risvolti negativi. Questo è particolarmente evidente nelle donne con ovaie ricche di follicoli ovarici. “In queste pazienti – aggiunge il prof. Antonio La Marca di Unimore – la stimolazione ovarica eccessiva farà aumentare notevolmente le dimensioni dei singoli follicoli e permetterà il recupero di molti ovociti. Questo però, da un lato, può portare alla iperstimolazione ovarica, una complicanza ben nota e che può richiedere anche il ricovero della paziente, dall’altro, come dimostrato dal nostro nuovo studio, può ridurre anche l’outcome perinatale del nascituro”.

La raccomandazione suggerita da questo studio è che “la stimolazione ovarica eccessiva” è da somministrarsi con cautela almeno in una certa categoria di pazienti e che, pertanto, le terapie vanno personalizzate. Nelle pazienti che per via di un’alta riserva ovarica sono candidate ad avere un’elevata risposta ovarica (alto numero di ovociti), si dovrà applicare una terapia più leggera, che ne limiti la risposta stessa.

“Unimore ed i colleghi medici – commenta il prof Giovanni Pellacani, Presidente della Facoltà di Medicina e Chirurgia – sono orgogliosi di un altro risultato scientifico di eccellenza raggiunto dai propri ricercatori. In particolare, tale tipologia di ricerca va ricordato comporta un’immediata ricaduta clinica con un beneficio diretto sulle persone ed un miglioramento della pratica clinica. Questo studio dimostra che per dare buona sanità occorre fare buona ricerca e che le terapie hanno bisogno di poggiare su validi studi scientifici per poter risultare sempre meno invasive, più mirate e, in definitiva, appropriate”.

 

ANTONIO LA MARCA

Antonio La Marca ha conseguito la laurea in medicina e chirurgia e la specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia presso l’Università di Siena con il massimo dei voti, dove poi ha completato anche il dottorato di ricerca in Biologia delle Cellule Germinali. Durante gli anni di formazione ha eseguito un periodo di studio presso la Tel Aviv University . Dal 2003 lavora presso la clinica di Ginecologia ed Ostetricia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, dove è principalmente impegnato in Medicina della Riproduzione ed in Ginecologia. E’ autore di oltre 120 lavori su riviste indicizzate, ed in buona parte di questi risulta primo autore. Le sue ricerche si sono indirizzate principalmente verso la fisiopatologia dell’asse endocrino ipotalamo-ipofisi-ovaio, la biologia delle cellule germinali e l’aging ovarico. Il dottorato di ricerca in Biologia delle Cellule Germinali gli ha permesso lo studio approfondito della spermatogenesi e follicologenesi umana, apprendendo il “know how” sulle necessarie tecniche di laboratorio ai fini di ricerca in questo specifico settore. Al riguardo ha inventato un brevetto che riguarda il possibile uso dell’FSH esogeno allo scopo di ridurre le aneuploidie cromosomiche negli spermatozoi umani. Rilevante impatto scientifico è stato ottenuto con le ricerche condotte sui follicoli ovarici antrali, sulla riserva ovarica, termine usato per definire il pool follicolare residuo nelle ovaie delle donne e sui meccanismi sottesi all’aging ovarico. I lavori pubblicati sulla riserva ovarica ed in particolare sull’Anti-Mullerian Hormone prodotto dalle cellule della granulosa sono ad oggi considerati gli standard per i ricercatori dediti allo specifico settore. La ricerca sulla riserva ovarica ha inoltre avuto impatto clinico rilevante come dimostrato dall’introduzione nel Policlinico di Modena della misurazione dell’AMH nella routine clinica già a partire dal 2007, quindi diversi anni prima della diffusione della metodica a livello mondiale. La Marca è Principal Investigator di un programma di ricerca finanziato dal Ministero della Salute e totalmente dedicato allo studio della riserva ovarica.