ripreseIl 18 settembre 2015, nell’Appartamento del Duca del Palazzo Ducale di Sassuolo, apre la mostra Carlo Mattioli – Riprese.
Promossa da festivalfilosofia, Comune di Sassuolo, Galleria Estense di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, in collaborazione con l’Archivio Carlo Mattioli di Parma e con il sostegno di Gruppo Hera, l’esposizione è curata da Luca Silingardi e presenta una selezione di opere dell’artista, modenese di nascita ma parmense di adozione, scomparso nel 1994.

La mostra si accosta all’opera di Mattioli cogliendone la sua propensione per l’antico e il suo ininterrotto dialogo con la pittura o le reliquie del tempo. Il particolare punto di vista, valorizzato dalle sale del Palazzo Ducale, illumina il senso complessivo della singolare ricerca di Mattioli, che attraversa il Novecento confrontandosi con vari movimenti artistici tenendosi però ancorato alla forma e alla figurazione, anche quando pare diluirne il segno. Al contempo, l’esposizione fa emergere il suo personale processo creativo, sempre filtrato attraverso il deposito della memoria immaginativa e persino affidato a interventi compositivi su superfici già segnate da una vita precedente.
Siano riprese esplicite di autori su cui a lungo ha meditato, come Caravaggio o Dürer; siano “traduzioni pittoriche” di poeti amati, come Petrarca o Leopardi; o siano libri, carte, legni antichi usati come supporti per nuove immagini, le opere esposte restituiscono il senso di una ricerca che guarda alla lunga durata dell’arte e trova la propria via nel punto materiale in cui si incrociano la storia della forma e le proiezioni trattenute dell’informale.

37 opere – tra olî su tela e su tavola, pirografie, acquerelli, tempere su carta e tecniche miste – che testimoniano alcuni dei più significativi temi indagati dell’artista nel corso della propria attività.

La mostra resterà allestita fino all’8 dicembre 2015 con le seguenti modalità di visita:

in occasione del festivalfilosofia
ingresso gratuito con i seguenti orari:
venerdì 18 e sabato 19 settembre                        ore 9-23
domenica 20 settembre                                ore 9-21

a partire dal 21 settembre
ingresso a pagamento (€ 4 intero – € 2 ridotto) con i seguenti orari
dal 21 settembre al 1 Novembre  
lunedì                                                        ore 15-19
martedì/venerdì                                        ore 11-19
sabato, domenica e festivi                                ore 10-19
dal 2 novembre  all’8 dicembre
apertura per gruppi con obbligo di prenotazione

catalogo in vendita a € 10,00
presso la biglietteria del Palazzo Ducale

Info e prenotazioni
URP Comune di Sassuolo
urp@comune.sassuolo.mo.it
0536/1844801

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Carlo Mattioli (1911-1994), pittore modenese, ma parmense d’adozione, che ha attraversato la seconda metà del Novecento sospeso tra figurativismo e informale, senza avvicinarsi ad alcun movimento, eppure in confronto continuo con la contemporaneità, è un artista che ha formulato la propria poetica rapportandosi sempre con l’eredità del passato. La mostra, infatti, si accosta alla sua opera cogliendone la propensione per l’antico e il suo ininterrotto e consapevole dialogo con la tradizione della pittura o le reliquie del tempo, siano esse antiche tavole di legno, vecchi sacchi di tela o libri e carte secolari. Una lettura, dunque, che desidera mettere in luce sia il senso complessivo della particolare ricerca di Mattioli sia il suo personale processo creativo, condotto per temi, per serie, al fine di sperimentare ogni valenza espressiva, ora verso un maggiore figurativismo, ora sfiorando l’astrazione, ma mantenendo sempre una pur vaga idea della riconoscibilità della forma, evocata spesso anche dai titoli, scelti con colta inclinazione letteraria.

A volte le riprese dei modelli degli autori su cui a lungo ha meditato sono esplicite, come nel caso del Cestino di Caravaggio o dell’Abete di Dürer, altre volte più velate e dunque meno facilmente riconoscibili. Allo stesso modo, le impressioni del reale, attraverso la rielaborazione nel proprio studio di schizzi dal vero, si fanno vaghe e indefinite, approdando a cerebrali paesaggi della memoria, lontani dalle esperienze sensibili da cui derivano. Come nella serie dei Paesaggi dei primi anni settanta, le cui sfaldate campiture geometriche sono accese dalla linea rossa dei papaveri; nelle Aigues mortes della fine di quel decennio, dove i colori squillanti sono squarciati da un nero di cosmica profondità; o ancora nei Paesaggi bianchi, ispirati alle sinopie del Camposanto Monumentale di Pisa, dell’inizio degli anni ottanta.

Anche quando deve comprendere lo spirito dei testi letterari per riuscire a darne delle “traduzioni pittoriche” – sempre con raggiungimenti altissimi ­– Mattioli ricerca un lessico adeguato, scavando nella storia dell’arte e variando le fonti di ispirazione, per poi operare un processo di semplificazione formale che conduce il significante al simbolico, come negli studi per le illustrazioni del Canzoniere di Petrarca, del 1968, o dei Canti di Leopardi, del 1972.

Ma Mattioli entra nella “lunga durata” della storia anche in un altro modo: agendo su una materia già densa di memorie, raccogliendone e rendendone esplicita l’eredità oggettuale ed espressiva, dapprima utilizzando vecchie cornici, poi scoprendo le valenze estetiche e filosofiche dell’utilizzo di tavole, tele di sacco o altri supporti antichi senza pesanti fondi preparatori. Nei Taccuini interviene su antichi manoscritti, registri di contabilità familiare e libri a stampa popolandoli di immagini, a volte liberamente, altre cogliendo lo spunto, magari in maniera ironica, offerto dalle parole del libro stesso, trasformando le vecchie carte e le stesse copertine di volumi in immagini di eccezionale intensità.

Quella di Mattioli è capacità di vedere oltre e di trarre fuori, di svelare l’arcano già presente ma occultato. Non solo supporto per una nuova opera ma spunto stesso per il nuovo soggetto rappresentato; come quando scorge un Nudo femminile nelle venature di un vecchio legno e ne rende visibile la danza pirografandone i contorni, o quando vede in un’antica tavola un Crocefisso e ne palesa la presenza con un uso parco del colore, per restituire un divino indefinito; sempre, però, lasciando al fondo naturale dei simulacri, e dunque ai segni e all’usura della storia, il ruolo di coprotagonista col presente.