Nino-Di-Matteo“Sono  innanzitutto  felice  e  onorato  di  ricevere  oggi la Cittadinanza Onoraria  di  Bologna.  Sto vivendo in queste ore con molta emozione, ve lo garantisco,  un  momento  molto  bello,  per  il quale sento di ringraziare innanzitutto  tutti  voi,  l’intera Amministrazione comunale, il Sindaco, i consiglieri  e  ancor  prima, me lo consentirete, le associazioni dei tanti cittadini che hanno pensato, ideato e fortemente voluto questa iniziativa –  Inizia così l’intervento  di Antonino di Matteo in occasione del conferimento della Cittadinanza Onoraria.

“In  un  Paese  che  sempre  più  sta  perdendo  la memoria e la capacità di indignazione – prosegue di Matteo –  per  fortuna  ci  sono  ancora  tanti  cittadini che da anni dimostrano, con la loro entusiasmante passione civile, di avere realmente a cuore la verità, la giustizia, la legalità, la vera antimafia.

Oggi  viene  conferita a me la Cittadinanza Onoraria di Bologna, credetemi, non  mi  sento  però il destinatario esclusivo di questo riconoscimento. So che  l’iniziativa  rappresenta  l’abbraccio  ideale di una comunità a tutti coloro,   Magistrati,   Forze   dell’ordine,  e  mi  sento  di  ringraziare particolarmente  il  Presidente  della  Corte  di  Appello, il Prefetto, il Questore,  i  Comandanti  provinciali  dei  Carabinieri  e della Guardia di Finanza   perché   questa   iniziativa   rappresenta  un  abbraccio  a  chi quotidianamente  spende  il  suo  impegno  nell’azione  di  contrasto della criminalità organizzata.

Personalmente, per quanto mi riguarda più direttamente, la giornata di oggi assume   un   ulteriore  valore  particolare,  intanto  di  conforto  e  di solidarietà  vera  in  un  momento  di  oggettiva  difficoltà personale, ma soprattutto il valore e il significato di un ulteriore, autentico stimolo a continuare  il  mio  lavoro  con  sempre  maggiore  impegno  ed entusiasmo.

Nonostante  tutto,  nonostante  tanti,  nonostante  un  clima di isolamento istituzionale  che  percepisco  sempre  più  nettamente, per me l’abbraccio ideale  della  collettività  che  questa  istituzione comunale rappresenta, costituisce  soprattutto  una  splendida  occasione per scolpire ancora più profondamente  nella  mia  mente,  nella  mia  coscienza  di  magistrato la convinzione  che  l’essenza  più  autentica  e  più  nobile  del  ruolo del magistrato  non  è quella dell’esercizio di un potere, ma quella della resa di  un  servizio  alla  collettività  e  in particolare ai più deboli, agli onesti,  all’esercito  silenzioso  dei  senza  potere. Una collettività che dalla  Magistratura  e  dal  singolo  magistrato  attende  e pretende reale indipendenza  di  azione,  autonomia  da  ogni  altro  potere,  coraggio  e decisione   nel   perseguire  l’obiettivo  di  contribuire  alla  effettiva attuazione  dei  principi  costituzionali  e, tra questi in primo luogo del principio  fondamentale  dell’eguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge.

Vorrei che questo momento, per me così importante – prosegue Antonino di Matteo – diventasse per tutti noi occasione  di  una seria riflessione su che cosa oggi è diventata la mafia, sul  pericolo  che  rappresenta  per  il  sistema  democratico.  Vorrei che diventasse  un  momento  di  onesta riflessione su quale oggi sia, al di là delle  parole  e  dei  facili  proclami,  la  risposta  della  politica  al gravissimo   problema   rappresentato   dalla  criminalità  organizzata  e, permetterete,  dalla  diffusione  del  metodo  mafioso  nell’esercizio  del potere.

Una  premessa,  un dato di conoscenza che ho acquisito e sedimentato in più di  venti  anni di indagini e processi sulla criminalità organizzata: è nel DNA della mafia, in particolare di Cosa Nostra, l’organizzazione siciliana, la  ricerca  del rapporto con la politica, con le istituzioni, con il mondo dell’economia,  dell’impresa  e della finanza. Per loro, per i mafiosi quel tipo  di  rapporto è assolutamente fondamentale, per la stessa esistenza in vita delle loro organizzazioni. Senza questi rapporti, la mafia non avrebbe mai,  mai  potuto raggiungere la potenza e la pericolosità che purtroppo la contraddistinguono.  Loro, i mafiosi, ne sono perfettamente consapevoli. E’ questo  il motivo per cui da più di 150 anni, in particolare Cosa nostra ha progressivamente  cresciuto  la  sua  potenzialità criminale. Loro hanno la consapevolezza  della  decisività  di  questi  rapporti  esterni. Ancora lo Stato,  le  istituzioni  politiche  nel  loro  complesso  non  hanno invece dimostrato  con  i  fatti di volere definitivamente puntare a recidere quei legami.  E’  questo  il  principale  motivo  per il quale, pur avendo vinto alcune  importanti battaglie contro le organizzazioni mafiose non riusciamo ancora a vincere la guerra, ad intravedere il momento nel quale il fenomeno verrà finalmente debellato.

Continua   ad   esistere  una,  a  mio  parere,  ingiustificata  e  dannosa divaricazione tra la efficacia e giusta severità della repressione dell’ala militare  delle organizzazioni mafiose e la sostanziale inadeguatezza degli strumenti  legislativi a nostra disposizione per colpire i rapporti esterni delle  organizzazioni  mafiose  con il potere. Non si è compreso a pieno, o forse  non  si  è  voluto  e  non  si  vuole comprendere, che oggi dobbiamo confrontarci con un sistema criminale integrato, in cui mafia e corruzione, delitti  tipici della criminalità organizzata  e delitti contro la Pubblica amministrazione, rappresentano due facce della stessa medaglia, due aspetti diversi di un unico sistema malato che si sta espandendo come un cancro. Ad oggi  il  quadro normativo in vigore garantisce ai corrotti, ai collusi, ai facinorosi  delle  classi  più  ricche,  spazi  troppo  ampi di sostanziale impunità, in particolare attraverso il sistema della prescrizione che nella grande   maggioranza  dei  casi  estingue  quei  reati,  quei  delitti  che costituiscono  le manifestazioni più tipiche della delinquenza dei colletti bianchi prima della definitività del giudizio, vanifica così gli sforzi dei magistrati  e  delle  forze  di  polizia,  ma  prima  ancora  mortifica  le aspettative  delle  persone  offese e di tutti i cittadini onesti che hanno diritto   alla   trasparenza  e  pulizia  dell’Amministrazione  della  cosa pubblica.

Si  impone  ancora  una  amara, molto amara, riflessione su come nel nostro Paese  il  problema  del  rapporto tra la mafia e la politica sia stato per troppo  tempo   considerato di esclusivo interesse del giudice penale, come se  il  suo  profondo disvalore si esaurisse nella responsabilità penale di certi comportamenti. Come se  determinate condotte a prescindere dalla loro eventuale  e  concreta  cofigurabilità  come  fatto di reato, non dovessero comunque  far  scattare altri meccanismi di responsabilità , in primo luogo politica.  Non  è più concepibile la delega esclusiva alla magistratura per sanzionare il rapporto tra la mafia e la politica.

Da  cittadino  prima  ancora  che  da magistrato auspico che la politica si riappropri di un ruolo di prima linea nella lotta alla mafia, si riappropri di  quella  capacità  di  denuncia,  di  quella  capacità  di far valere la responsabilità politica di certi comportamenti che caratterizzò fortemente, anche  in  certe  fasi drammatiche della nostra storia recente, l’azione di partiti  politici  allora all’opposizione, che caratterizzò, in certe fasi, l’attività  della  commissione  nazionale antimafia, e ancora l’attività di singoli  esponenti  politici  che  sapevano  fare  i nomi dei mafiosi e dei potenti  in  combutta  con  i  mafiosi,  quando  ancora quei nomi non erano consacrati  e  contenuti  nemmeno  nei  rapporti  delle  forze di polizia e tantomeno nelle sentenze della magistratura.

Ritengo  ancora  che  per affrontare il presente e pensare con ottimismo al futuro  non  dobbiamo incorrere nel grave errore di dimenticare il passato, un  passato che è fatto anche di tanti, troppi delitti eccellenti. La lunga e  drammatica  teoria  degli  omicidi  eccellenti  e delle stragi che hanno contraddistinto la nostra storia recente non può essere dimenticata, questo Paese  non  può definitivamente archiviare come episodi di un passato ormai lontano  le  tante stragi, a partire da quella del 2 agosto 1980, in questa città,  che  costituirono  il  frutto di perversi legami tra organizzazioni terroristiche   e   settori   importanti   del   potere  e  degli  apparati istituzionali.

Questo  Paese non può definitivamente archiviare il capitolo delle stragi e dei  delitti  eccellenti della mafia sopratutto perché partendo e avendo il coraggio  e  l’onestà  concettuale  di leggere le sentenze sui processi che sono  stati  già  celebrati,  le sentenze definitive, emerge in relazione a tutte queste vicende giudiziarie riguardanti i delitti eccellenti di mafia, quanto   meno   il   gradimento,   o,   in   certi   casi  il  cointeresse, all’eliminazione  del  bersaglio, anche da parte di ambienti esterni a Cosa Nostra.

In qualche caso gli elementi indiziari e di prova che emergono dai processi già  conclusi riguardano perfino la possibilità che altri soggetti, diversi dagli appartenenti alle famiglie mafiose abbiano addirittura avuto un ruolo nella organizzazione e nelle fasi esecutive dei delitti eccellenti.

Invece  ahimè  sembra che quell’obiettivo di ulteriore approfondimento, che ci impongono le sentenze dei giudici, sia condiviso e vissuto oggi da pochi soggetti,  da pochi magistrati e pochi investigatori, nel disinteresse, nel fastidio e perfino nella ostilità generale.

Noi  però  sappiamo che un Paese senza memoria è un Paese senza futuro, uno Stato che si dimostrasse incapace di guardare anche dentro se stesso, nelle pieghe  ancora  oscure  di deviazioni  e collusioni di apparati criminali e mafiosi,  non sarebbe uno Stato realmente credibile e autorevole agli occhi dei cittadini.

Un  sistema  che,  per  convenienza  politica  e  malintese  e  perciò  non dichiarate ragioni di stato, continuasse a tollerare quando non addirittura a  cercare  il  dialogo,  il compromesso con le organizzazioni mafiose, non sarebbe rappresentativo di un sistema veramente democratico.

Sono veramente onorato e orgoglioso di ricevere la cittadinanza onoraria di una  città simbolo dei valori fondanti la nostra splendida e sempre attuale Costituzione,  sono  orgoglioso di ricevere la cittadinanza onoraria di una città  che  costituisce,  per  la  sua storia di integrazione tra cittadini provenienti  da  diverse  parti  d’Italia,  d’Europa, del Mondo, intanto un autentico emblema dell’unità nazionale.

Sono  emozionato  perché  oggi  mi  considerate  degno  di essere cittadino onorario  di  Bologna,  città  decorata  con  la  medaglia  d’oro al valore militare  per  il  contributo  dato  alla Resistenza e alla liberazione dal Nazifascismo,   quella   Resistenza   fondamento  e  cardine  della  nostra democrazia.  Bologna è anche medaglia d’oro al valore civile, a seguito del criminale  attentato  terroristico del 2 agosto 1980 perché, si legge nella motivazione  di  quel conferimento “l’intera popolazione, pure emotivamente coinvolta,  dava  eccezionale  prova  di  democratica  fermezza e di civile coraggio, prodigandosi con esemplare slancio nelle operazioni di soccorso”, quelle decorazioni nel gonfalone della vostra, della nostra città, assumono anche  un  altro  significato:  il  valore di un sogno bellissimo che parte dalla  consapevolezza  che  oggi deve essere prioritaria una nuova forma di Resistenza  per  vincere una nuova e particolarmente insidiosa e pericolosa guerra di liberazione, una guerra di liberazione contro le mafie, contro la mentalità   mafiosa,   contro  la  diffusione  di  questa  mentalità  anche nell’esercizio del potere.

Una  guerra  di  liberazione  contro  la  corruzione,  contro  le lobby, le massonerie,  il predominio del concetto di appartenenza rispetto al merito, l’illegalità  diffusa che a tutti i livelli sta progressivamente erodendo e sfaldando come un cancro il tessuto sociale del nostro Paese, una guerra di liberazione   contro   la  rassegnazione  a  convivere  con  quei  fenomeni criminali.

Tutti,  ciascuno  con  il suo ruolo e le sue capacità, abbiamo il dovere di promuovere e sviluppare questa nuova forma di resistenza e liberazione, per coltivare  il  sogno di una rivoluzione culturale, che partendo dai giovani riesca  a restituire al nostro Paese il fresco profumo della libertà, della solidarietà,  di  una  democrazia  reale, frutto compiuto di un percorso di giustizia e di verità.

E’  questo  il  senso – conclude il Magistrato –  per  me  molto bello, dell’incontro di oggi e del riconoscimento conferitomi. Grazie”.