agricoltori-Bologna2«Siamo stanchi di farci spennare come polli» gridano gli agricoltori indossando le vesti dei maltrattati pennuti. È iniziata così la manifestazione in difesa dell’agricoltura stamani a Bologna, promossa da Cia, Confagricoltura e Copagri. Quasi un migliaio di imprenditori da tutto il Centro Nord si sono riversati, fin dalle prime ore del mattino, nel piazzale antistante l’entrata della Fiera.

L’Assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, Simona Caselli, insieme ai manifestanti. «Le richieste del mondo agricolo – ha detto oggi al corteo –  sono in buona parte condivisibili. Esiste un reale problema di semplificazione in un settore che è per sua natura molto complesso, sia perché sottoposto a molteplici disposizioni locali, nazionali e comunitarie, sia perché incrocia diverse aree, tra cui quella ambientale e quella sanitaria. La Regione Emilia-Romagna ha già avviato diverse buone partiche, oltre ad essere stata la prima a far partire il Ruc-Registro unico dei controlli. Metteremo a disposizione la nostra esperienza per accelerare l’applicazione del piano Mipaaf “Agricoltura 2.0” e per la riforma di Agea-Agenzia per le erogazioni in agricoltura».

Tra i partecipanti anche l’on. Paolo De Castro della Commissione Agricoltura del Parlamento Ue che ha sottolineato il suo impegno per ridurre il peso burocratico oltre ai vicepresidenti-nazionali di Cia, Antonio Dosi, e di Confagricoltura, Ezio Veggia e di Copagri, Roberto Cavaliere, con il presidente di Confagricoltura Emilia Romagna Gianni Tosi.

Dal 2000 ad oggi hanno chiuso in Italia oltre 310 mila imprese del settore primario: un numero enorme che può salire ancora vertiginosamente se non si mette mano ai tanti problemi “in campo”: i ritardi nei pagamenti comunitari, la burocrazia asfissiante, i prezzi all’origine in caduta libera e le vendite sottocosto, le incognite dell’embargo russo, gli investimenti bloccati, la difesa del “made in Italy”, la cementificazione del suolo, l’abbandono delle aree rurali, i danni da fauna selvatica.

Per tutti questi motivi, Cia, Confagricoltura e Copagri sono scese in piazza. Per sensibilizzare l’opinione pubblica, la politica e le istituzioni a cui è stato consegnato un “documento-piattaforma” di proposte chiare e concrete a sostegno del settore. Per le organizzazioni agricole, occorre innanzitutto modificare la Pac nella riforma di medio periodo e ripensare radicalmente al suo futuro: accrescere i pagamenti accoppiati ai settori in crisi, ripensare il greening, semplificare radicalmente gli strumenti di gestione del rischio, anche a tutela del crollo dei prezzi. Poi, bisogna favorire un’economia contrattuale più equa e trasparente, anche sviluppando gli organismi interprofessionali, perché la filiera torni a essere un luogo di creazione di valore, distribuito equamente tra tutte le sue componenti. In più, è necessario lanciare immediatamente le azioni del Psr, ma anche i vari interventi nazionali discussi da tempo, come le varie misure del piano latte o di quello olivicolo. E’ altresì importante condurre una completa valutazione di impatto sugli effetti delle concessioni su alcuni mercati e applicare idonee misure di salvaguardia nonché il principio di reciprocità negli scambi commerciali con i Paesi terzi. Questo anche per evitare di importare materiali di propagazione infetti e soprattutto per bloccare l’import di alimenti prodotti con fitofarmaci vietati in Italia e in Europa.

Quanto al rapporto con la Pubblica amministrazione, bisogna riavviare il dibattito e rilanciare il progetto del Ministero dell’Agroalimentare, che unisca le competenze delle Politiche agricole e delle Politiche industriali dell’agro-food, e affrettare l’approvazione del “Collegato agricolo” con i necessari provvedimenti sulla semplificazione burocratica. Inoltre è necessario riformare radicalmente il sistema Agea e degli altri Enti Pagatori, superando i ritardi inaccettabili nei pagamenti degli anni scorsi e la totale incertezza sui valori e sui tempi di quelli futuri. Infine, occorre emanare al più presto una legislazione e una programmazione a difesa del suolo per ridurre il suo consumo e assicurare stabilità idrogeologica, salvaguardando e valorizzando il ruolo delle imprese agricole.

Sotto accusa, quindi, Pac e burocrazia opprimente. «L’implementazione delle nuove politiche agricole europee e le maggiori integrazioni con le strutture di gestione nazionali, in primis l’Agea – incalzano i leader nazionali di Cia, Confagricoltura e Copagri dal palco del capoluogo emiliano – rischiano pesanti ripercussioni sulla tempestiva erogazione dei premi Pac e ritardi nell’attuazione delle misure dei nuovi Prsr-Piani regionali di sviluppo rurale, non consentendo di individuare le responsabilità e le irregolarità procedurali e soprattutto col rischio che esse vengano addebitate alle Regioni».

“Si richiede pertanto un’azione urgente tesa a recuperare la necessaria efficienza operativa di Agea”, come riportato nella lettera inviata ieri al presidente della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome, Stefano Bonaccini. «Nei Prsr – si legge nel documento – la Unione europea ha imposto lo ‘Standard Output’ (il criterio economico di base per classificare le imprese agricole nelle domande da presentare per i Piani di sviluppo) come elemento di verifica dell’ammissibilità e della quantificazione delle spese ammissibili. Assistiamo a livello nazionale ad una situazione caotica che va urgentemente omogeneizzata completando le colture mancanti e definendo le interpretazioni relative alle colture con più destinazioni; inoltre si auspica una reale semplificazione delle procedure burocratiche a partire dalla figura dell’agricoltore attivo, esempio di definizione convulsa e caotica con conseguenti difficoltà di accesso regionale alle informazioni fiscali. Ciò richiede un sistema di certificazione nazionale puntuale, ineccepibile, inequivocabile ed idoneo a supportare le attività istruttorie del territorio. E ancora l’impegno del Governo per la tutela del Made in Italy deve essere incentrato al superamento delle limitazioni imposte dalle barriere doganali e sanitarie. Da ultimo si richiama l’attenzione sulle criticità nell’attuazione di Piani nazionali di sviluppo rurale che non generano valore aggiunto bensì aggravi burocratici e danni economici».

Sotto accusa anche: l’embargo russo che macina perdite milionarie ogni giorno, si innesca anche in una fase dove i prezzi all’origine delle produzioni agricole nazionali stanno registrando i minimi storici. Alcuni esempi. Mele: 60 centesimi al chilo all’origine; 2 euro al consumo (rincaro +333%); pere, 88 centesimi all’origine e 2 euro e 20 al consumo (rincaro + 250%); kiwi 75 centesimi all’origine (-25% in un anno) e 2 euro e 50 al consumo (rincaro + 333%).

«Ci attendiamo quindi – osservano in chiusura Cia, Confagricoltura e Copagri – un maggior ascolto da parte dello Stato delle esigenze e delle peculiarità territoriali: dove tutto ciò manca, a soffrire è l’efficacia del sistema. Senza politiche d’intervento urgenti e misure efficaci e puntuali, si profilano situazioni fallimentari per le aziende agricole. Da qui le ferme richieste delle organizzazioni agricole alle Istituzioni di agire con rapidità e dare seguito a quegli interventi annunciati e non realizzati».

Intanto, nella giornata di ieri, il Presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini e l’assessore all’Agricoltura dell’Emilia Romagna, Simona Caselli, hanno incontrato i vertici regionali di Confagricoltura, Cia e Copagri.

Il Presidente Bonaccini ha assicurato che porterà all’attenzione della Conferenza i temi indicati dalle associazioni: la riforma dell’Agenzia delle Erogazioni in Agricoltura (Agea), la semplificazione e l’efficace applicazione del programma Mipaaf “Agricoltura 2.0” che include una serie di strumenti innovativi per l’applicazione burocratica.

aricoltori-BolognaI numeri della crisi: il peso della burocrazia e la voragine ‘prezzi all’origine’

Ogni azienda è costretta a produrre ogni anno 4 chilometri di materiale cartaceo per rispondere agli obblighi burocratici, “bruciando” oltre 100 giornate di lavoro. Per non parlare del crollo vertiginoso dei prezzi alla produzione e della forbice esorbitante nella filiera tra i listini all’origine e quelli al consumo, dove in media per ogni euro speso dal consumatore finale, solo 15 centesimi vanno nelle tasche del contadino. Solo per fare alcuni esempi -spiegano Cia, Confagricoltura e Copagri- le arance sono pagate agli agricoltori il 40% in meno di un anno fa: ovvero 18 centesimi al chilo, contro i 2 euro al supermercato, con un rincaro che dal campo alla tavola tocca il 1111%. O ancora un agricoltore, per pagarsi il biglietto del cinema, deve vendere 30 chili di melanzane che oggi “valgono” 26 centesimi al kg (-61% in un anno), mentre al consumatore vengono proposte a 1,90 euro con un ricarico del 731%.
A problemi annosi come questi, si somma la vicenda dell’embargo russo: tra frutta, verdura, carni e prodotti lattieri, il blocco di Mosca alle nostre produzioni agricole è costato finora 355 milioni di euro, con esportazioni “made in Italy” dimezzate in quasi due anni. Senza dimenticare il dato relativo al consumo di suolo agricolo, che negli ultimi decenni è cresciuto dal 3% al 7,3% erodendo 56 ettari di terra al giorno, convertiti in cemento, con effetti preoccupanti per la tenuta idrologica del Paese.