Nei centri storici delle città di provincia italiane ci sono sempre meno negozi e più venditori ambulanti. Dal 2008 al 2016 in 40 comuni di medie dimensioni le attività commerciali al dettaglio con sede fissa nel centro storico cittadino sono calate infatti del 14,9% (nelle periferie il calo è stato del 12,4%), mentre quelle ambulanti sono aumentate del 36,3% (fuori dal centro del 5,1%). Questi i dati del rapporto ‘Demografia d’impresa nei centri storici italiani’ diffusi da Confcommercio che mostrano come “la riduzione dei negozi sia una perdita secca, non compensata da altre aperture”, mentre la crescita impetuosa degli ambulanti “da un parte ha valenza positiva perché salva il livello di servizio nei centri storici, ma dall’altra suscita perplessità perché cela un’evoluzione non governata delle strutture commerciali”, ha spiegato Mariano Bella, direttore dell’Ufficio studi Confcommercio.
Ce ne ha parlato Tiziano Motti, eurodeputato della settima legislatura e presidente di Europa dei Diritti: “La fuga dei negozi dai centri storici delle città italiane è un fenomeno che riduce la qualità della vita dei residenti e l’appeal turistico delle nostre città. Senza i negozi, nelle città non c’è luce, non c’è bellezza e non c’è sicurezza”. I dati arrivano dallo studio diffuso dall’associazione dei commercianti sottolineando che dal 2008 ad oggi “si riducono nei centri storici e nelle periferie tutte le tipologie distributive, in modo particolare i libri, i giocattoli e l’abbigliamento a eccezione della ristorazione e del commercio ambulante”.