Pensioni da fame per chi ha lavorato in agricoltura, le più basse d’Europa con una media largamente sotto i 500 euro al mese. Questo costringe i produttori a continuare l’attività, bloccando il turn-over nei campi. La diretta conseguenza è uno dei più bassi indici mondiali di nuovi ingressi nel settore da parte dei giovani, fermi sotto il 6%.

A denunciarlo è la Cia-Agricoltori Italiani di Reggio Emilia, che oggi ha promosso insieme al suo Patronato Inac un convegno alla Cantina Albinea Canali per analizzare la situazione pensionistica in Italia e in particolare il segmento delle fasce più basse, in primis quelle agricole. Da qui il titolo “Pensioni dignitose per gli agricoltori italiani”.

Dai lavori – a cui hanno preso parte tra gli altri il presidente provinciale Antenore Cervi ed il vicepresidente nazionale della Cia Antonio Dosi, il presidente nazionale dell’Inac Antonio Barile, la capogruppo Pd in Commissione Lavoro alla Camera Marialuisa Gnecchi e l’on. Antonella Incerti, parlamentare reggiana della stessa commissione, infine Arianna Alberici responsabile dei giovani Cia reggiani- è emerso un quadro con un sistema pensionistico che mostra enormi criticità.

Insostenibili le condizioni degli ex lavoratori in agricoltura, che in Italia sono circa 460 mila, dei quali l’89,4% non arriva a una pensione di 600 euro al mese. Ma la media di settore è notevolmente più bassa e si attesta sui 400 euro al mese, con punte minime di assegni da 276 euro. Situazioni difficili distribuite in tutte le regioni anche se, guardando al rapporto tra densità della popolazione e numero di ex Coltivatori diretti e Iap-Imprenditori agricoli professionali, emergono i 47 mila dell’Emilia Romagna. E le riforme come la Fornero non miglioreranno certo la situazione, anzi.

Abbiamo – è emerso nel convegno – le retribuzioni minime più basse d’Europa, chiediamo quantomeno che vengano uniformate a quelle degli altri Paesi Ue. E tra i pensionati che stanno peggio, ci sono senza dubbio gli agricoltori che, tra l’altro, continuano a vivere nelle aree interne e rurali dove già scarseggiano welfare e servizi. Con queste premesse non ci si può certo stupire che stenti il ricambio generazionale nel settore primario. I titolari di azienda sopra i 65 anni rappresentano oggi il 43% del totale.

Un’ingiustizia – quella relativa al trattamento pensionistico agricolo – non più tollerabile a cui si può cominciare a porre rimedio subito. La Cia propone quindi di lavorare per perfezionare la proposta di legge Gnecchi-Damiano, che prevede l’istituzione di una “pensione base” (448 euro), in aggiunta alla pensione liquidata interamente con il sistema contributivo.