La Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha scoperto un’ organizzazione capace di “clonare” gli abiti firmati delle più famose case di moda
italiane e francesi che venivano riprodotti in Cina e
“importati” sul mercato internazionale. Perquisizioni domiciliari sono state effettuate anche a Modena.

L’ operazione denominata “Tarocco”, iniziata dopo una perquisizione avvenuta in una nota boutique di Reggio Calabria, ha consentito alla procura di Reggio C. di accertare anche un giro di evasione fiscale plurimiliardario ed ha portato a 41 denunce a piede libero, 126 perquisizioni domiciliari -tra Napoli, Caserta, Ercolano, Modena, Taranto, La Spezia- e al sequestro di 122 mila capi
clonati, oltre un miliardo e 700 milioni di vecchie lire in titoli e buoni e una decina di brillanti per un valore di 75mila euro nella disponibilità di un algerino. L’ organizzazione, che aveva base in Campania e che faceva riferimento ai fratelli Massimo e Eugenio Sorrentino D’ Afflitto, residenti a Nola (Napoli), era in grado di riprodurre
fedelmente modelli già presenti nelle boutique, utilizzando una tecnica sofisticata di riproduzione. I due, che acquistavano un modello originale disponibile nelle boutique, utilizzavano la
tecnica della ”grammatura” che consentiva non solo di riprodurre la foggia di ogni elemento del capo di abbigliamento ma anche tutte le caratteristiche intrinseche, compreso il peso
e qualità della stoffa. Una volta clonati e trasportati in Cina, i campioni venivano affidati alla manodopera cinese che era in grado, a costo minimo, di avviare una vera e propria produzione su scala industriale. Confezionati gli abiti, la merce veniva re-importata in Italia attraverso un complicato intreccio di aziende “fantasma”
con sede a Roma, Avellino, Rimini, Arezzo, Firenze, Bologna, Genova e Salerno: aziende inesistenti, tutte riconducibili alla “Kiro Group” di San Marino di Aurelio Gagliano, già noto alle
forze dell’ ordine, di Napoli, residente a San Marino, che curava l’ export-import a metà fatturazione procurando così condizioni tali da consentire ai Sorrentino di vendere ”in nero” la merce. Una volta entrati nel territorio nazionale, gli
abiti clonati venivano trasportati in un magazzino in uso all’ organizzazione gestito da altri due pregiudicati campani che provvedevano allo smistamento ai grossisti i quali, a loro
volta, piazzavano la merce nelle boutique di tutta Italia. Parallelamente alla produzione degli abiti ”made in China”, l’ organizzazione provvedeva anche alla fabbricazione degli
accessori: cartellini, etichette, elementi identificativi dell’ abito, buste per il confezionamento delle grandi case italiane (Armani e Prada, Versace, Roberto Cavalli ma anche Stone Island
e Napapijri e Trussardi).