La casa-studio di via Marianini 45, alla periferia di Modena, è stata per moltissimi anni, e praticamente fino alla sua scomparsa, la sede delle ricerche del professor Luigi Di Bella e il punto di approdo, da tutta Italia e dall’estero, per tanti pazienti alla disperata ricerca dell’ultima speranza nella lotta contro il cancro. Le sue terapie hanno provocato forti polemiche, scontri con il potere politico e la medicina ufficiale, per i critici solo illusioni.

L’immagine dello scienziato curvo e canuto tenne banco soprattutto tra le fine del ’97 e l’estate ’98, quando le sperimentazioni sul suo metodo (frutto anche di ordinanze di magistrati, in primis il pretore di Maglie Carlo Madaro) fecero parlare a lungo stampa e oncologi. ”Ho raggiunto buoni traguardi in silenzio, ignoto a molti ma non ai pazienti e ai parecchi colleghi che hanno creduto perche’ hanno provato”, scriveva Di Bella nel volume ‘Cancro: siamo sulla strada giusta?’, cercando di indurre a cambiare strada nella terapia.
”I miei protocolli sono stati adottati, in 25 anni, da oltre 10.000 pazienti. I risultati ottenuti e le tante remissioni mi hanno convinto che oggi possiamo avere meno paura dei tumori”.

Ma, sottolineava, ”è difficile rimuovere metodi perfettamente organizzati, che godono di appoggi politici ed economici. Però anche David oso combattere contro Golia. Ed è nobile portare un raggio di luce nel buio di una prognosi infausta”. Di Bella, catanese di Linguaglossa, nato il 17 luglio 1912, ultimo di tredici figli, si laureo all’ universita’ di Bari con 110 e lode nel ’36 e il suo primo incarico fu quello di aiuto, per tre anni, nell’istituto di Fisiologia umana dell’ateneo di Parma.
Lavoro poi a Modena, nel ’41 partì come capitano medico per la Grecia, dove diresse un ospedale da campo, nel ’48 conseguì la libera docenza in Fisiologia umana e in Chimica biologica. Socio di vari organismi medici, ha presentato comunicazioni e poster a numerosi congressi scientifici; dall’84, l’anno del suo pensionamento, ha proseguito la ricerca nel laboratorio privato, dove ha continuato a ricevere i pazienti.

Sono stati gli studi su melatonina e somatostatina e le applicazioni sui malati a creare interesse attorno a Di Bella, la cui terapia si proponeva di arrestare la crescita tumorale, inibire la riproduzione delle cellule neoplastiche e creare le condizioni biologiche per controllare ed equilibrare la riproduzione delle cellule. ”Di conseguenza – spiegava Di Bella – le formazioni neoplastiche, non potendo più crescere, nè riprodursi e trovandosi in un ambiente biologico sfavorevole alla continuazione della loro vita, si avviano all’ autodistruzione. L’importante non è solo ridurre la ‘massa’ tumorale, che con la chemio ricresce e si metastatizza, ma rimuovere le cause dei processi animali senza avvelenare l’organismo”.

E’ stato il libro pubblicato nel febbraio di otto anni fa da un medico, Mauro Todisco, ‘Non morirai di questo male’, ricco di testimonianze di pazienti guariti, ad attirare per primo l’attenzione sull’anziano ricercatore e sui suoi protocolli di cura. Un anno dopo, a Monza, durante un dibattito i pazienti insorsero minacciando di denunciare il ministero della sanità per omicidio colposo plurimo se non fosse stato ritirato il decreto legge che comminava sanzioni ai medici che prescrivevano la melatonina.

Partirono le prime interrogazioni parlamentari, nacquero a Roma e a Trento le prime associazioni di pazienti, sotto la sigla Aian (Associazione italiana assistenza malati neoplastici). Poi fu un’escalation di commenti, di prese di posizione pro e contro, di manifestazioni di piazza a favore del medico. Un sabato pomeriggio del marzo ’98 l’allora ministro della sanità Rosy Bindi – a poche ore di distanza da un’imponente manifestazione pro-Di Bella a Roma, con migliaia di persone che chiedevano liberta’ di cura – arrivò d’urgenza a Modena e si chiuse a lungo nella casa-studio dove Di Bella viveva isolato e quasi estraneo egli echi delle polemiche. C’era aria di tregua, con la promessa del massimo rigore scientifico nella sperimentazione dei protocolli e la reiterata richiesta da parte dello staff dibelliano di poter curare ”secondo scienza e secondo coscienza”.

Gli esiti della sperimentazione, dopo mesi, aprirono molti dubbi e rinfocolarono le polemiche, mentre Di Bella continuava l’attività scientifica e le visite in via Marianini. La mente era sempre lucida, ma il fisico lo scorso anno cominciò a tradirlo:
due i ricoveri nel giro di pochi mesi, in maggio all’Hesperia Hospital di Modena (dove gli venne applicato il pacemaker) e in ottobre a Carpi. In entrambi i casi però riuscì a stupire i medici: supero’ le crisi e si rimise in pista, pur diradando le visite dei pazienti. Al suo fianco ancora alcuni ricercatori e i figli Adolfo, funzionario di banca, e Giuseppe, otorinolaringoiatra, il suo ‘portavoce’ medico. Ancora al lavoro, fino alla battaglia più difficile, quella definitiva. Quella che lo ha ucciso.