Non sono in cerca di prima
occupazione, sono per lo piu’ adulti disoccupati, e hanno un forte bisogno di formazione. E’ questo l’identikit dei lavoratori interinali in Emilia-Romagna che emerge da un’ indagine realizzata fra gennaio ed aprile 2004 dall’Istituto di ricerche sociali (Irs) per conto dell’Agenzia Emilia-Romagna Lavoro.


L’indagine si fonda su 2331 interviste telefoniche mediante le quali e’ stato possibile scoprire i destini occupazionali, le esigenze e le esperienze di formazione professionale dei lavoratori temporanei in Emilia-Romagna avviati a missioni nel corso del 2001. In merito alla condizione di partenza dei lavoratori interinali esaminati, l’indagine sfata innanzitutto la tesi secondo cui le agenzie private operino prevalentemente su soggetti in cerca di prima occupazione, appena usciti dal sistema scolastico o universitario. Il 36% degli intervistati e’ infatti formato da adulti disoccupati, con basso livello di istruzione, che stanno cercando attivamente lavoro da diverso tempo: il 64% di essi da 6 mesi, il 17,5% da piu’ di un anno.

Questi lavoratori dichiarano di utilizzare il lavoro interinale soprattutto per cercare nuovi contatti con le imprese. Il 20% circa e’ invece costituito da giovani precari sotto i 29 anni, che cioe’ hanno avuto, per lo piu’, esperienze di lavoro a termine. Hanno un’istruzione media, soprattutto di tipo tecnico o professionale, sono per meta’ donne, e sembrano usare il lavoro temporaneo in misura maggiore per tentare esperienze qualificanti, anche se non e’ irrilevante il numero di coloro che si rivolgono al lavoro interinale a seguito di difficolta’ di inserimento stabile nel mercato del lavoro. Un altro 20% e’ formato da lavoratori adulti, al 60% maschi, con un precedente lavoro a tempo indeterminato che hanno abbandonato per lo piu’ volontariamente (volontariamente puo’ significare anche che il lavoratore e’ stato incentivato a lasciare il lavoro, in caso di crisi aziendali). Si tratta di persone con livelli di istruzione medio-bassi, ma con competenze professionali anche molto specifiche, che usano le agenzie come strumento per velocizzare la ricerca di un nuovo lavoro. Questa categoria risulta la piu’ forte, in termini occupazionali, rispetto a quelle sin qui esaminate: la loro posizione lavorativa puo’ trasformarsi ben presto in un’occupazione stabile. Infine, vi e’ un 23,4% di studenti che usano l’ esperienza interinale perche’ ben si concilia con lo studio e per integrare le proprie risorse con redditi da lavoro.


La principale scoperta dell’indagine e’ che l’esperienza di lavoro interinale generalmente ‘riproduce’ le condizioni di vantaggio o di svantaggio che le persone interessate possedevano prima di fare ricorso alle agenzie private. Lo dimostra ad esempio il fatto che gli adulti disoccupati sono quelli che hanno maggiore difficolta’ a ricollocarsi nel mercato del lavoro. Dopo la missione di lavoro interinale, molti ricadono infatti nello stato di disoccupazione: nel dicembre 2003 (ultimo mese oggetto di rilevazione) solo il 19,6% degli appartenenti a questo gruppo era occupato con lavoro stabile. I giovani con esperienze di lavoro flessibile hanno esiti occupazionali migliori e, a dicembre 2003, il 36% di loro aveva un contratto stabile. Una parte di essi, dunque, continua ad essere esclusa da opportunita’ di stabilizzazione contrattuale, soprattutto le giovani donne diplomate, rischiando di trasformare le esperienze di lavoro flessibile in una ‘trappola della precarieta”.

Per quanto riguarda gli studenti, piu’ della meta’ di loro, nel 2003, e’ occupata (ma in ambiti totalmente differenti da quelli delle missioni interinali, a riprova delle esigenze provvisorie che questi avevano nei confronti dell’esperienza lavorativa di due anni prima), mentre il 20% si dichiara ancora studente. La conclusione dell’indagine e’ dunque che il lavoro interinale sia ‘neutrale’ rispetto alle caratteristiche pregresse delle persone avviate: in un contesto come quello emiliano-romagnolo (dove le probabilita’ di transizione al lavoro stabile sono nel lungo termine elevate per tutti), i piu’ avvantaggiati restano i soggetti adulti con esperienze specifiche di lavoro a tempo indeterminato, cosi’ come e’ probabile che i disoccupati tornino nella condizione di disoccupazione, oppure che gli ex lavoratori flessibili continuino ad avere contratti di natura precaria. Configurandosi come un’esperienza mediamente breve, il lavoro interinale non sembra offrire soluzioni consolidate per l’inserimento occupazionale delle fasce deboli.


La brevita’ e la frammentarieta’ del lavoro interinale fa si’ che non vi sia un grande impatto sulla formazione della persona.
Semmai sono le competenze trasversali (ad esempio la capacita’ di relazionarsi con i colleghi e con il datore di lavoro) che vengono sviluppate di piu’. In modo minoritario sono invece rafforzate competenze tecniche specifiche. D’altra parte, le aziende che utilizzano lavoratori interinali coinvolgono raramente questi ultimi in azioni formative (a parte le micro attivita’ finalizzate all’inserimento immediato nelle postazioni di lavoro). Dalle risposte degli intervistati, risulta che solo il 14,7% degli stessi ha avuto esperienze formative e per il 48% di questi la durata di queste esperienze e’ stata inferiore alle 8 ore. D’altra parte, emerge una forte attenzione dei lavoratori interinali per la formazione personale. Lo dimostra il fatto che un ulteriore 25% degli intervistati ha frequentato corsi di formazione professionale e che il 22% di loro dichiara di volerlo fare nel prossimo futuro. Dall’indagine, emerge anche come ben il 60% dei lavoratori interinali esprime una preferenza netta per una formazione di natura trasversale: ad esempio a favore di tematiche generali come l’organizzazione del lavoro, la lingua inglese, nozioni di informatica, abilita’ relazionali, tecniche di ricerca del lavoro, tecniche di compilazione del proprio curriculum.