Nel 2004 i disoccupati in Emilia-Romagna sono aumentati di 11.000 unita’ rispetto all’anno precedente, con un calo nel numero degli addetti di 24.000 unita’, mentre sono saliti a quasi 400.000 i lavoratori con contratto atipico (lavoro dipendente a termine, co.co.co., co.co.pro., part time, lavoro occasionale, lavoro autonomo) sul totale di 1 milione e 850 mila occupati in Regione (sono quindi il 20%).


Il tasso di occupazione si porta cosi’ al 68,3% con un calo dell’1,2%, quello della disoccupazione al 3,7% (2,7% uomini, 5% donne), con un aumento dello 0,6%, portando a 71.000 le persone in cerca di lavoro. Sono alcuni dei dati emersi dal rapporto ‘Economia e lavoro in Emilia-Romagna’, curato da Gilberto Seravalli, dell’universita’ di Parma, e presentato nella sede della Regione, a Bologna. E’ cambiato nettamente il mercato del lavoro – ha sottolineato Seravalli – che per quasi dieci anni, dal 1995 al 2003, aveva registrato incrementi nell’occupazione, anche se la situazione in regione e’ comunque buona: i tassi maschile (76,2%) e femminile (60,2%), superano la media nazionale (69,7% e 45,2%), la media del nord est (75,8% e 55,7%) e gli obiettivi fissati a Lisbona dall’Unione Europea per il 2010.


Se pero’ analizziamo i dati Istat relativi al primo semestre 2005 – ha continuato Seravalli – possiamo constatare un aumento nell’occupazione pari a 14.000 unita’, contrastato dalla diminuzione dell’occupazione femminile e dall’aumento della disoccupazione. Cio’ e’ dovuto al fenomeno dell’immigrazione, che, grazie anche alla regolarizzazione del 2003, ha raggiunto livelli straordinari: circa 41.000 sono le persone giunte da Paesi esteri in un anno, che fanno dell’Emilia-Romagna la regione col piu’ alto tasso in Italia.
Giovani e donne risultano le categorie piu’ a rischio: i primi per la difficolta’ che incontrano a trovare il primo impiego, rappresentano il 19% dei disoccupati (14.000 su 71.000); le seconde, dopo 10 anni di aumento nel tasso dell’occupazione, sono ora le prime a essere licenziate perche’ occupano posizioni deboli e precarie.

Dal rapporto emerge anche come sia cambiato il modello della flessibilita’ del mercato del lavoro. Se essa prima si registrava soprattutto all’entrata, ed era quindi ”buona” perche’ il lavoro atipico si trasformava in tempi relativamente brevi in lavoro a tempo indeterminato, nel 2004 tale trasformazione e’ rallentata, con un conseguente aumento del lavoro atipico, che ha raggiunto appunto il 20%.

Occorre anche interrogarsi, ha sottolineato il docente di Scienze economiche dell’ateneo parmense, sulla netta perdita d’acquisto dei salari, che si tramuta in un aumento degli squilibri distributivi, per cui i medio ricchi sono ancora piu’ ricchi e i poveri ancora piu’ poveri. Da ultimo va considerata la difficolta’ nell’uscita dalla disoccupazione: le agenzie di lavoro risultano sempre piu’ importanti, sia per chi cerca la prima occupazione sia per chi vuole migliorare quella attuale, e quelle pubbliche funzionano meglio di quelle private.


Le politiche da attuare sono state esposte dall’assessore regionale al Lavoro e alla formazione professionale Mariangela Bastico, per rimediare a una situazione che, nonostante sia buona rispetto ad altre aree, ”presenta segnali preoccupanti”.

Le proposte di legge – ha detto l’assessore – si devono basare sulla tutela, la sicurezza, la stabilita’ e la qualita’ del lavoro. La legge 30 e i relativi decreti attuativi hanno infatti limitato la liberta’ delle regioni, che non possono piu’ intervenire sugli ammortizzatori sociali e sui contratti, ma possono attuare politiche relative ai servizi, all’accompagnamento, alla qualita’ e alla stabilizzazione.
Occorre intervenire – ha specificato l’assessore – sull’allargamento quantitativo e sulla durata dei contratti a tempo determinato, attuando politiche di stabilizzazione. In Emilia-Romagna un solo reddito familiare non e’ sufficiente e l’espulsione delle donne dal mercato del lavoro rappresenta una difficolta’ reale. Il mercato necessita di un sistema qualificato di servizi di accompagnamento nel lavoro: e’ cioe’ necessario migliorare la formazione professionale, attraverso orientamento, stage, tirocini, e dando particolare attenzione al contratto di apprendistato, ”raddoppiando gli attuali 54.000”.
Il lavoro atipico costa meno di quello tipico – ha concluso Bastico – e non porta con se’ formazione: il vero investimento e’ la qualita’, che non e’ possibile in un sistema precario.