Quattrocento nuovi farmaci o molecole in fase di sperimentazione per proseguire la battaglia contro i tumori che insorgono in età pediatrica (0-18 anni).


Farmaci mirati, frutto anche della ricerca genetica, in grado di colpire il più possibile solo le cellule tumorali. E’ questo il messaggio positivo che esce dal convegno ‘New drugs in pediatric oncology’ a cui hanno partecipato a Bologna oltre agli studiosi italiani anche numerosi ricercatori statunitensi.

L’incidenza del tumore in età pediatrica – ha spiegato il professor Franco Locatelli, presidente dell’Aieop (associazione italiana ematologia
ed oncologia pediatrica e responsabile dell’oncoematologia del S.Matteo di Pavia – è di 1400 nuovi casi, cioè 13-14 casi ogni 100 mila bimbi per anno.

In testa per frequenza c’è la leucemia linfoblastica acuta, seguita dai tumori cerebrali, dalla leucemia mieloide e dai linfomi. Due terzi dei pazienti hanno una remissione della malattia o hanno una lunga
sopravvivenza con una buona qualità della vita.

I nuovi farmaci nelle diverse fasi di sperimentazione, ha osservato il professor Andrea Pession, responsabile dell’ oncologia pediatrica del
S.Orsola di Bologna, possono migliorare l’approccio alle diverse tipologie di tumore. E dare qualche speranza in più, ha aggiunto la prof.ssa Susan
Blaney del Cancer Oncology Group, anche per alcuni tipi di tumore cerebrale, sui quali finora i risultati terapeutici sono stati molto deludenti. Ma anche in questi casi bisognerà attendere 5 o 6 anni per un impiego terapeutico consolidato.

Il convegno è stata anche l’occasione per fare il punto sulla situazione terapeutica in Italia e per dare alcuni messaggi ai genitori che si trovano purtroppo a dover fare i conti con un figlio malato di tumore. In Italia sono 62 i centri, aderenti all’Aieop, in grado di offrire un approccio adeguato in tutta la penisola ad eccezione di Molise e
Basilicata. In quasi tutte le regioni c’è un centro definito Copre, centro oncologico pediatrico di riferimento regionale che fa da nodo della rete.
La nostra esperienza ci dice – ha aggiunto Pession – che un bimbo ammalato
di tumore ha più possibilità se viene curato in un centro specializzato pediatrico e non in un reparto per adulti perchè la sua è una patologia specifica e ‘non può essere trattato come un adulto in miniatura’. I centri di eccellenza sono molti, specializzati per alcune tipi come la divisione dell’Istituto Tumori di Milano che tratta solo i tumori solidi o il Rizzoli di Bologna per i tumori dell’osso mentre i reparti pediatrici degli ospedali universitari sono in grado di affrontare l’insieme delle patologie in un approccio multidisciplinare.

Il bambino sopra i 10 anni va sempre informato, hanno detto gli studiosi italiani. D’accordo su questo i colleghi Usa. Fra i 14 ed i 18 anni è giusto avere il suo consenso anche rispetto al peso delle terapie che gli vengono somministrate, spesso portatrici di effetti collaterali pesanti.
‘I bimbi sono più forti di quello che noi pensiamo – ha detto Locatelli – ed hanno più paura delle cose che vengono loro nascoste. Il bambino si rende ben conto di avere una malattia grave, ma proprio sulla base di questo collabora con i medici e spesso protegge i genitori.
Come? Non verbalizzando – hanno raccontato ancora Pession e Locatelli – le sensazioni sgradevoli che prova perchè si rende conto che i genitori fanno molto fatica a sopportare l’angoscia di morte che un tumore comporta’.