Un prezioso Codice considerato perduto e recuperato attraverso tecnologie mutuate dalla Nasa.Una ‘spy-story’ piena di intrighi tra cattedratici dell’Ottocento. Domani, all’università di Bologna sarà protagonista il Codex rescriptus
(V sec. d.C) della Biblioteca Capitolare di Verona.

Alla facoltà di giurisprudenza sarà presentata la ricerca che ha portato alla riscoperta paleografica del testo. Si parlerà della tecnica con cui è stato
ritrovato il contenuto, ma verrà spiegato anche come nell’800 il manoscritto sia stato al centro di una spietata lotta fra accademici.

Il Codex riveste per il diritto romano un’importanza capitale. Contiene le Istituzioni di Gaio, l’unica opera del diritto classico romano giunta ad oggi senza il filtro operato dall’intervento dei Compilatori giustinianei.
La maggior parte delle opere giurisprudenziali classiche romane è nota per lo più attraverso il ‘Digesto di Giustiniano’: il che implica, per gli
studiosi, il problema di depurarle dalle frequenti alterazioni, deformazioni, interpolazioni subite nel VI secolo d.C.. Quello della Capitolare di Verona è un palinsesto o codex rescriptus. Nell’antichità,
dato l’elevato costo delle pergamene, si era soliti riciclare antichi manoscritti (previa cancellatura della scrittura originaria) per inserirvi un nuovo contenuto. Nel caso del Codex veronese il testo delle Istituzioni di Gaio è stato cancellato nell’VIII secolo d.C. per far posto alle Epistulae di San Girolamo. Solitamente però la scrittura originaria (detta ‘scriptura prior’) non veniva del tutto abrasa, restando evidenti, assai spesso, alcune sue tracce. Al fine di decifrare la scriptura prior (contenente appunto le Istituzioni di Gaio) i paleografi dell’ottocento utilizzarono reagenti chimici molto aggressivi. Il risultato
fu che per quasi due secoli oltre un decimo del testo di Gaio è risultato illeggibile a causa dei guasti derivanti dall’uso improprio di tali
reagenti.

Oggi però, grazie a modernissime tecnologie, si sta recuperando, dopo secoli, quella parte (mai decifrata) del manoscritto. Grazie
all’utilizzazione di una avanzata metodica (mutuata da quella utilizzata dalla Nasa per le ricerche interplanetarie) gli studiosi sono in grado di leggere parti di manoscritto che finora non erano state assolutamente decifrabili con gli strumenti tradizionali. Non solo. Anche la vicenda
della ‘scoperta’ del manoscritto è al centro di nuove ricerche: secondo la manualistica tradizionale, infatti, la scoperta viene attribuita allo storico e diplomatico B.G Niebuhr, che nel 1816, frugando in un palinsesto in cui, nell’VIII secolo d.C, erano state riprodotte (previa cancellazione imperfetta della scriptura prior) le Epistulae di S.Girolamo, si accorse che tra le righe della seconda scrittura apparivano i resti dell’opera
precedentemente riprodotta sul materiale pergamenaceo e che questi resti appartenevano ad un’opera giuridica.

Da nuove indagini sembra però risultare che il ritrovamento non sia stato affatto fortunoso. Alcuni brani del manoscritto erano già stati
pubblicati oltre cinquant’anni prima del 1816.
Tale ritrovamento, come risulta da carteggi fra importanti professori prussiani dell’epoca, fu al centro di una vera ‘spy-story’, in cui intrighi, rivalità e giochi di potere rivestirono un ruolo determinante.