Venerdì 8 dicembre, dalle 16, in occasione della Festa dell’Immacolata, il Museo del Patrimonio Industriale propone l’attività di laboratorio “La
seta nella moda e nel costume bolognese: XIV-XVIII secolo”. Dalla lavorazione e produzione del velo di seta nell’industria bolognese all’impiego di questo prodotto nella moda dell’epoca.


L’iniziativa proposta dal Museo, si aprirà con un approfondimento sulla lavorazione e commercializzazione di questo prodotto, per passare poi, grazie ad immagini e testimonianze tratte principalmente dalla ritrattistica dell’epoca, all’analisi dell’uso del velo tra XIV e XVIII secolo nel costume e nella moda. A guidarci le opere di pittori famosi quali: Leonardo, Michelangelo, Halls, Gainsborough, Tintoretto, Bronzino.

La fortuna commerciale di questo prodotto è testimoniata dalla sua continuità d’uso nei secoli. Infatti, contrariamente ai tessuti operati
(damaschi, velluti, broccati), che mutavano e si rinnovavano periodicamente, il velo di seta conserva inalterate nel tempo per oltre
quattro secoli le sue caratteristiche di trasparenza, leggerezza e semplicità.
Già nel Quattrocento le nobildonne europee utilizzano il velo come finitura delle acconciature: dall’Italia alla Fiandre il velo diventa simbolo di
nobiltà, preziosità e ricercatezza. Nel Cinquecento le dame, specialmente per le cerimonie, lo portano ampio, bianco, lungo, che copre, nascondendoli, i capelli e il volto; oppure viene utilizzato per scialli e nelle scollature degli abiti. Dopo la Controriforma, il velo perde ogni valenza civettuola e diventa simbolo di riservatezza, modestia, di onesti e virtuosi costumi; mentre nel
secolo XVIII è utilizzato per mantelli, fazzoletti da testa e fisciù, sciarpe portate sulle spalle e a guarnizione della scollatura degli abiti. Nell’ultimo quarto del secolo XVIII, con l’affermarsi in Francia di cambiamenti periodici nel costume, influenzati dalla moda imposta a Versailles, saranno i setifici Lionesi a sostituire Bologna come leader di mercato ed a determinare la scomparsa del setificio nostrano.

Sabato 9 dicembre, alle 15.30, il Museo del Patrimonio Industriale propone “La fata elettricità”, laboratorio sull’elettricità, ispirato alla
tradizione della “divulgazione scientifica popolare”.

Stupore, fascinazione, spavento: questi i sentimenti che suscitavano al tempo dei bisnonni gli esperimenti dimostrativi sull’elettricità o meglio,
su quella che i divulgatori scientifici di fine Ottocento chiamavano la “Fata elettricità”.
Prove, verifiche e giochi verranno svolti al Museo per capire che cos’è l’elettricità e come e perché si manifestano i fenomeni elettrici ed
elettromagnetici. Ad esempio si analizzerà il primo generatore di corrente, ossia la pila, messa a punto da Alessandro Volta all’inizio del XIX secolo.
L’esperimento della bacchetta magica che strofinata attira piccoli pezzi di carta introdurrà l’elettrostatica. Le linee di forza di un campo magnetico saranno rese visibili con la limatura di ferro avvicinata a una calamita. Inoltre, l’induzione elettromagnetica spiegherà la relazione esistente tra magnetismo ed elettricità.
Completano l’attività alcuni giochi elettrici (la danza dei forzati, il fulmine in bottiglia, il mercato delle pulci) e l’analisi della
strumentazione scientifica delle collezioni storiche Aldini Valeriani legate ai fenomeni elettrici ed elettromagnetici. L’età consigliata per questo laboratorio è dai 6 ai 14 anni. L’ingresso è
gratuito.

Domenica 10 dicembre, alle 16 si terrà la visita guidata “Quando Bologna viveva sull’acqua: chiuse, canali e chiaviche”.

Fin dal XII secolo la città si dotò di un complesso sistema idraulico artificiale composto da chiuse, sul fiume Reno e sul torrente Savena,
canali, tra cui quello di Reno, di Savena, delle Moline e Navile, e chiaviche, condotte sotterranee, che distribuivano a rete l’acqua in molte
zone della città. L’acqua veniva in gran parte utilizzata per alimentare ruote idrauliche che movimentavano, principalmente, pesanti macine in pietra per la macinazione del grano e mulini per torcere il filo di seta. L’abbondanza della risorsa acqua, unita all’alta tecnologia raggiunta dai
mulini da seta, permisero ad una città, non dotata di significativi corsi d’acqua naturali né di uno sbocco sul mare, di recitare un ruolo da
protagonista nel panorama della proto-industria europea e del grande commercio internazionale per oltre quattro secoli. A valle del sistema, un porto canale, nei pressi dell’attuale via Don
Minzioni, ed un canale navigabile, il Navile, permettevano a merci e passeggeri di raggiungere il Po e il grande porto di Venezia. Questo sistema, perfezionato e gestito nei secoli con grande lungimiranza dal governo cittadino è rimasto funzionale ai bisogni della città fino metà
del XX secolo.

Ingresso e attività sono gratuiti. Per informazioni telefonare al Museo al numero: 051-6356611