Parte da Reggio Emilia, dal Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, la sfida per produzioni ecocompatibili e la si fa proponendo l’utilizzo di biomateriali per il confezionamento degli alimenti.

I biomateriali si caratterizzano come produzioni a natura biologica, realizzate a partire dallo sfruttamento di scarti di lavorazione e/o di prodotti secondari dell’agricoltura e che – per la loro composizione chimica – non creano, una volta gettati, problemi di smaltimento o riciclaggio. La caratteristica principale e più interessante dei biomateriali è la possibilità di compostarli, cioè trattarli in modo, che in condizioni controllate, degradino fino a raggiungere la chiusura del ciclo del carbonio, trasformandosi in anidride carbonica, ossigeno e carbonio.
Con questa consapevolezza i ricercatori del Laboratorio di Tecnologie e Confezionamento Alimentare del Dipartimento reggiano, guidati dalla professoressa Patrizia Fava, hanno condotto ricerche sull’utilizzo di biomateriali da impiegare nel packaging di prodotti alimentari freschi e con breve vita di scaffale.

Le sperimentazioni e i dati ottenuti saranno presentati durante il workshop “I biomateriali nel confezionamento alimentare: un’alternativa possibile e sostenibile”, promosso dal Dipartimento di Scienze Agrarie e dalla Fondazione Manodori. L’appuntamento, previsto domani, mercoledì 14 marzo, a partire dalle ore 10.00 presso l’Aula Magna Pietro Manodori del Complesso Universitario ex Caserma Zucchi (via Allegri, 9) di Reggio Emilia, consentirà di esporre gli innovativi studi dei ricercatori reggiani, ma anche di mettere a confronto per la prima volta ricercatori, produttori e utilizzatori sul tema dell’impiego di materiali biodegradabili, biodeteriorabili e compatibili per il confezionamento degli alimenti.

Il compostaggio proposto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie si offre come una soluzione reale e concreta al problema dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU), soluzione resa possibile solo con un utilizzo diffuso di prodotti di origine biologica. L’attenzione è stata rivolta, in particolare, alle prestazioni offerte dall’acido polilattico (PLA), un materiale che è stato messo a confronto con un materiale plastico, il polipropilene, largamente utilizzato per confezionare vaschette per prodotti alimentari come carne e frutta e che, non potendo nemmeno essere riciclato, dopo aver assolto alla sua breve funzione conclude il suo ciclo in discarica, contribuendo a creare problemi di smaltimento.

Il PLA, invece, un biopoliestere prodotto a partire da un processo di fermentazione di carboidrati, secondo gli studi dei ricercatori reggiani si dimostra adattissimo per la conservazione dei prodotti freschi o con “bassa vita di scaffale”, poichè garantisce ottime prestazioni meccaniche di rigidità e può essere processato per ottenere pellicole trasparenti, contenitori, schiume espanse per vaschette.
Le ricerche oltre ad indagare le qualità ed i possibili utilizzi del biomateriale ne hanno, soprattutto, studiato le caratteristiche di eco-compatibilità e simulato scenari di diffuso utilizzo, comparando i dati ottenuti alla situazione attuale in termini di costi e vantaggi anche in confronto alla pratica del riciclaggio.