Lettera aperta di Legambiente Emilia Romagna alle istituzioni designate a costituire l’Ente di Gestione del Parco della Vena del Gesso Romagnola.

“Egregi Signori
Annotiamo che dopo che Legambiente – e anche qualcun altro – ha manifestato la propria sofferenza per il modo in cui gli enti pubblici stanno conducendo la partita del Parco dei Gessi Romagnoli anche fra le istituzioni si comincia ad esprimersi pubblicamente su questo tema. Come abbiamo avuto occasione di sostenere più volte per la nostra associazione la realizzazione del Parco è un’azione necessaria per la tutela ambientale ma soprattutto una possibilità fondamentale per lo sviluppo di un intero territorio. Per noi si tratta di una occasione da cogliere per evitare di perdere una grande possibilità per il territorio compreso nelle Valli del Senio, del Santerno e del Lamone. Giustamente emerge in questo quadro il grande ruolo del settore agricolo. Il Parco ha grande importanza dal punto di vista paesaggistico, della tutela della biodiversità e della difesa del suolo ma sono importanti i suoi risvolti economici e la possibilità che una scelta positiva in questo campo offre per cercare di uscire da una situazione di stallo e vera e propria crisi del mondo agricolo che è tuttora una attività fondamentale nell’area.
E’ necessario – per garantire l’applicazione della legge regionale – uscire da una logica di attuazione piatta e burocratica della norma inaugurando in parallelo un laboratorio aperto, che punti ad un progetto di innovazione positiva con il contributo di idee e la partecipazione di amministratori, categorie economiche, persone di buona volontà. Legambiente, che ha già dimostrato in diverse occasioni e anche a proposito della legge regionale sui parchi, la sua disponibilità e realizzato accordi con categorie economiche un tempo molto distanti (anche con gli agricoltori e con le associazioni venatorie) ed è disponibile a spendersi apertamente in questo lavoro di cucitura di un nuovo rapporto fra diversi si di un obiettivo comune.

Il settore agricolo che ha rivestito diversi ruoli nel tempo subendo varie trasformazioni è in una fase cruciale. Da una agricoltura tradizionale si è passati all’agricoltura industrializzata con forte impatto ambientale, poi all’adozione di colture più specializzate, pur mantenendo grandi volumi di offerta, e poi ad una adozione di tecnologie produttive con relativo minor impatto sull’ambiente e sull’uomo, poi alla cosiddetta “multifunzionalità” delle imprese con l’aggiunta di produzioni e servizi. Ma è a tutti evidente che tutto ciò non basta a mantenere un equilibrio economico delle aziende agricole accettabile nell’epoca dei mercati globalizzati. Le produzioni agricole italiane (e in gran parte dell’Emilia Romagna) hanno perso posizioni ed il livello di concorrenzialità è destinato a risentirne ancora di più con l’aggiunta del calo costante dei prezzi e il ruolo nefasto dell’intermediazione speculativa. Oggi siamo di fronte a produzioni che entrano nel mercato europeo, provenienti da paesi extracomunitari, in gran parte ottenute su vastissima scala ed in grandi quantità da società a capitale europeo, nordamericano e giapponese. Queste ora si stanno muovendo anche in sede europea per imporre produzioni geneticamente modificate che – oltre ai problemi etici e sanitari – hanno le caratteristiche di una ulteriore omogeneizzazione e banalizzazione delle produzioni agricole con asservimento delle aziende agricole ad interessi esterni. Data la grande differenza di costi fra le produzioni italiane e quelle dei paesi emergenti la scelta obbligata è la produzione di qualità associata alla “filiera corta”, alla tracciabilità e ad una maggiore integrazione fra agroalimentare, turismo e attività più strettamente collegate al territorio e alla sua tutela in modo da ricostruire una identità territoriale riconoscibile anche nei suoi prodotti.

In una situazione di questo tipo appare assai misera una discussione con il mondo agricolo gestita discutendo soltanto quanti sono i posti che spettano ai rappresentanti delle associazioni di categoria nel consiglio del parco. Si deve avere il coraggio di costruire un progetto di tutela degli interessi delle imprese e di trasformazione del territorio che coinvolga i soggetti interessati.
Serve una proposta che convinca anche chi ha voluto stare “fuori” dal perimetro dell’area del parco ad entrare non tanto per ragioni etiche ma perché è conveniente. Per questo servono prove tangibili che si può fare reddito integrando le attività agricole con le azioni di conservazione, di restauro e valorizzazione dell’ambiente naturale e far si che anche le altre attività che possono giovarsi della capacità di traino di un parco naturale e non solo – come avviene ora – come operazione di pura immagine ad uso turistico, perché in questo modo tutto appare artificiale e poco convincente.

Ci sembra che ci siano buone possibilità, sia di entrata sui mercati locali anche utilizzando in modo ampio l’articolo 33 della legge regionale sui parchi, che prevede più spazio per la vendita diretta da parte degli agricoltori, ma anche per il riposizionamento nei mercati più vasti. Nel territorio dei comuni delle valli del Senio, Santerno e Lamone l’unica vera identità forte e riconoscibile è quella della Vena del Gesso e su quella è necessario puntare per valorizzare le peculiarità territoriali (la natura, l’agricoltura, il turismo, il sistema termale e tutto quello che vi ruota intorno come gli spettacoli, le rassegne, le sagre ormai ripetitive e oggetto di clonazione diffusa).
Serve tutto il supporto necessario degli Enti Pubblici, della Regione, delle Province delle Amministrazioni comunali e delle Comunità Montane, dei Gruppi di Azione Locale per far sì che entrare nelle aree protette non venga più vissuto dal mondo agricolo e dalle varie comunità come un vincolo insostenibile ma come una nuova opportunità. Confidiamo nella possibilità che si vogliano accogliere i nostri suggerimenti e rimaniamo in attesa di riscontro.

Con i nostri cordiali saluti”.


Luigi Rambelli
Presidente Legambiente Emilia Romagna