“Lo scandalo dei test di ammissione alle Facoltà a numero chiuso ha sollevato un’attenzione tutto sommato tiepida, in un paese dove istituzioni, politica, mondo produttivo, società civile invocano il riconoscimento e la valorizzazione del merito come via per il rinnovamento, la competitività, l’eccellenza. Nessuno, all’infuori di chi si proclama vittima di un sopruso o di chi si professa ingiustamente accusato, trova ragioni sufficienti per esprimere una sana indignazione”.
L’assessore comunale all’Istruzione Adriana Querzè interviene sullo scandalo dei test di ammissione alle facoltà universitarie.

“Mi sono chiesta il perché e mi sono data due risposte.
La prima: nel senso comune la notizia dei test truccati è, di fatto, una non-notizia: tutti sanno che ciò che è stato denunciato accade ed è accaduto: lo dimostra la frequenza di alcuni cognomi negli ospedali, nelle università, in ambiti professionali; lo dimostra l’assenza di mobilità sociale che sicuramente non è imputabile solo al nepotismo, alle rendite di posizione e alla corruzione ma che, altrettanto sicuramente, trova in questi fenomeni, elementi di rafforzamento e di più accentuata impermeabilità del sistema.
Nel Paese dei furbi si è persa la fiducia che qualcuno o qualcosa possa arginare un’ illegalità strisciante e pervasiva: non si crede che sia possibile cambiare ciò che non funziona. E’ questo ripiegamento, questa rassegnazione ad adeguarsi all’esistente che allontana i ragazzi dalle utopie necessarie, dall’impegno per il cambiamento, dalla stessa politica.
L’invito di D’Alema ai giovani a fare ciò che un’altra generazione – quella del ’68 – ha fatto, cioè lottare per cambiare il mondo, è destinato a rimanere un’esortazione astratta; essa non è comprensibile da chi, a parole, è stato educato alla legalità e, nei fatti, vive un’illegalità diffusa che lo penalizza sul piano personale.

Anche per questo la trasgressione dei giovani, oggi, è sballo, vandalismo, eccesso, autodistruzione; per questo ha perso quella carica creativa che qualcuno si ostina a chiamare politica, qualcuno impegno civile, altri realizzazione delle proprie potenzialità.

La seconda risposta che mi sono data è quella che il futuro, ce lo ricordava ieri Bodei nel suo discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria, si è privatizzato: il futuro cioè è pensato esclusivamente come fatto che attiene al singolo e di cui solo il singolo può e deve occuparsi; il futuro privatizzato è però antipolitico, è pensato e costruito attraverso un individualismo che non coglie le interdipendenze tra l’individuo e la società, tra la città e il mondo, tra l’azione individuale e l’azione collettiva; si tratta di un’idea di futuro che si alimenta dell’illusione che un domani buono per se stessi sia possibile anche in assenza di un futuro migliore per tutti.
Che fare allora? Di fronte ad un sentire diffuso orientato alla sfiducia nella possibilità di cambiare le cose, di fronte a un’idea di futuro che accomuna i padri e i figli nel pensare che basti preoccuparsi di sé per avere garantito un domani migliore, credo che le istituzioni e la politica debbano svolgere, per i ragazzi che hanno denunciato irregolarità, alcune azioni semplici: attivarsi perché gli organi competenti indaghino con rapidità e trasparenza; farsi parte attiva perché gli Atenei mettano a disposizione tutti gli elementi utili a fugare sospetti che danneggiano l’immagine delle Università e distruggono la fiducia dei ragazzi nelle istituzioni. Non è il momento di arroccarsi: serve chiarezza e apertura perché il livello di sfiducia verso le modalità di accesso ai corsi di laurea è altissimo; e infine chi ha sbagliato paghi perché con le regole non si scherza e non si scherza con l’idea di futuro che consegniamo ai nostri ragazzi”.