Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che tace” a cura di Luiza Samanda Turrini. Dal 6 dicembre 2008 all’11 gennaio 2009
l’associazione culturale Magazzini Criminali, con sede a Sassuolo, presenta la personale dell’artista Marco Lugli.


Corpi chiaroscurati, corpi mutanti, corpi come paesaggi, in cui muscoli e membra in tensione creano avvallamenti, pianure, archi tornanti, promontori. Corpi che si amalgamano con il muro che sta sotto, che lasciano intravedere mattoni, stropicciamenti, venature marmoree, che virano dal verde rame, al bronzo, al blu da fossa oceanica. Il corpo è il fuoco centrale della poetica di Marco Lugli. Un corpo in ostensione, come ricettacolo del bello, del ridicolo, della decadenza, dell’imperfezione, di tutte le condizioni liminari della natura umana, di tutti quegli attributi che rendono instabili confini e definizioni, che rendono possibile il mutamento. È molto difficile piegare il corpo alle proprie esigenze, farlo cambiare secondo i nostri desideri. Il corpo è mutevole, ma volubile. Il corpo, mollato con il pilota automatico, cambia in peggio, si rovina, si sfalda, va dritto dritto verso la morte. Spesso la sua stessa bellezza può costituire una zavorra. Lugli mostra nudi maschili proni, perfetti, scultorei, commentati da titoli velenosi. Ne L’imperfetta trasformazione del rospo in principe azzurro un uomo senza volto esibisce il contrasto fra i muscoli statuari del dorso, e la postura buffa degli arti inferiori, raccolti come quelli di chi nuota a rana. Il dinamismo della parte alta sembra suggerire uno sforzo ad uscire da una condizione, da un contesto, da una circostanza, mentre la parte bassa, statica ed assurdamente posizionata, costituisce il fardello, l’ostacolo che impedisce il movimento. Il corpo di Lugli è spesso un corpo diviso a metà, come nei due dittici di Comunque ti guardi non mi sembri in pace, dove figure femminili cadenti, ingobbite, deformate da un effetto ottico e configurate in una posizione segnaletica sciatta ed impietosa, espongono il loro corpo dimezzato da una grossa riga nera. In una sorta di rovesciamento simbolico la donna è immobile, mentre l’uomo si proietta dinamicamente verso altri stati. In È duro essere teneri ma lo è anche rimanere duri la tensione estrema del corpo lo trasfigura in un ibrido fra il vivente e l’inanimato, non più corpo ma testa cornuta, scultura astratta, scorpione di ere preistoriche, conglomerato di rocce. Il capo chinato dell’artista arenato presenta un nudo maschile rannicchiato come un feto, campionato in strisce di diversi supporti che sembrano scomporre la sua interfaccia col mondo. In Elena cerca lontano ciò che avrebbe dentro di sé la figura femminile è deformata dalla prospettiva, la testa è un moncherino piccolo e lontano, e la visione del sesso, in primissimo piano, è occlusa dalle mani, intrecciate come un simbolo di divieto. Dimenticati ciò che ero ed abituati a ciò che diventerò è un ritratto femminile quasi rinascimentale, segnato da linee serpentiformi, titolato da un monito di peggioramento, di degradazione, di rivelazione della fine dell’amore. Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che tace, sentenzia Marco Lugli. Ciò che tace è il corpo, caricato di aspettative performanti, idealizzato come nel riflesso di Narciso, visto nell’evidenza realista, ma sempre e comunque silente rispetto alla sua natura più autentica.
Luiza Samanda Turrini

Opening: sabato 6 dicembre 2008, ore 18,00 – sino all’11 gennaio 2009 presso Magazzini Criminali – Associazione Culturale
Piazzale Gazzadi, 4 – Sassuolo.
Orari di apertura: sabato e domenica 16.00-19.00 – Per appuntamento: 392 4811485.