Una vasta e diffusa rete di screening che coinvolga il territorio, i medici pediatri, i medici di famiglia, i medici specialisti e specializzandi in Otorinolaringoiatria, Audiologia e Foniatria, audioprotesisti, audiometristi, logopedisti, ostetrici, infermieri e medici di neonatologia è questo l’obiettivo del corso di perfezionamento su “Lo screening uditivo nei punti nascita delle province di Reggio Emilia e di Modena: criticità, risultati, prospettive”, organizzato dall’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e dalle quattro Aziende sanitarie delle due province, che ha ricevuto il patrocinio delle più importanti associazioni medico professionali impegnate in campo audiologico e dell’infanzia.

“La sordità congenita – spiega la prof. ssa Elisabetta Genovese dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia – rappresenta una problematica estremamente importante come prevalenza nella popolazione neonatale, soprattutto se paragonata ad altre patologie ad incidenza molto più bassa per le quali esistono già da tempo programmi di screening. L’identificazione tardiva di tale patologia comporta infatti ripercussioni nello sviluppo comunicativo-linguistico difficilmente recuperabili e che compromettono gravemente gli apprendimenti scolastici di un bambino. Basti ricordare, a tal proposito, cosa poteva significare nascere con una sordità profonda appena 30 o 40 anni fa, quando era possibile identificare la sordità solo attraverso metodiche osservazionali comportamentali. Non esistevano protesi acustiche di potenza o impianti cocleari e solo quando il bambino non parlava la patologia poteva essere diagnosticata, ma era troppo tardi per qualsiasi approccio riabilitativo allo sviluppo di un linguaggio orale. E’ noto infatti che una perdita uditiva medio-grave possa provocare nel bambino un disordine nell’evoluzione linguistica e compromettere nel tempo anche altre aree evolutive, come le capacità di apprendimento”.

Nel 2001 l’Organizzazione Mondiale della Sanità segnalava 250 milioni di persone nel mondo affette da danno uditivo inabilitante. Secondo stime internazionali circa 1 o 2 bambini su 1000 nascono con un deficit uditivo di tipo medio-grave o profondo. Per evitare questa sequenza di eventi sfavorevoli che aggravano via via la condizione di disabilità, è assolutamente necessario diagnosticare l’ipoacusia nel momento in cui questa insorge e trattare precocemente gli aspetti di deficit comunicativo emergente mediante un corretto protocollo terapeutico- riabilitativo.

“L’identificazione precoce di una ipoacusia neurosensoriale in un bambino – aggiunge il dottor Giovanni Bianchin, responsabile della Gestione interaziendale dello screening uditivo neonatale e per la gestione e cura delle malattie otologiche dell’Azienda Santa Maria Nuova di Reggio Emilia – è l’unica metodica universalmente riconosciuta per poter programmare un intervento riabilitativo-protesico in tempi utili affinché non si sviluppi una disabilità comunicativa tale da compromettere la futura vita di relazione. Quanto più precocemente viene ripristinata una normale stimolazione acustica, tanto inferiore risulta il gap tra un bambino ipoacusico e un bambino normoudente in termini di performance comunicative, linguistiche, relazionali e cognitive”.

L’identificazione precoce delle ipoacusie rappresenta pertanto un obiettivo rilevante di salute pubblica. Lo screening offre la possibilità di identificare la malattia in una popolazione apparentemente sana ed in un’epoca in cui è ancora possibile un trattamento protesico-riabilitativo ed eventualmente chirurgico adeguato.

In questo contesto si inserisce l’evento formativo che si terrà la mattina di sabato 28 febbraio 2009 a partire dalle ore 8.30 e che si aprirà coi saluti del Rettore prof. Aldo Tomasi e delle autorità locali, presso l’Aula Magna “Pietro Manodori” del Complesso universitario ex Caserma Zucchi (viale Allegri 9) di Reggio Emilia, al quale hanno già aderito oltre 250 medici e professionisti.

Il convegno vuol essere un importante momento di incontro fra diverse figure professionali che si occupano di salute in ambito pediatrico, fornendo contemporaneamente un elevato contenuto scientifico supportato da una valutazione degli aspetti organizzativi-gestionali dell’attività di screening.
Verranno analizzati l’impatto sociale e le risorse necessarie, ma anche il recupero economico prevedibile attraverso l’applicazione di un protocollo di diagnosi precoce; verranno confrontate diverse esperienze in essere, con particolare riguardo alle criticità nell’organizzazione e nell’implementazione dello screening uditivo stesso. E’ programmata inoltre una sessione con confronti diretti tra i diversi responsabili regionali dello screening al fine di identificare i problemi pratici più frequenti e le soluzioni adottate.

“Il programma di screening uditivo neonatale – continua il dott. Giovanni Bianchin – si inserisce nella tradizione modenese e reggiana di impegno per l’infanzia contribuendo in modo rilevante a migliorare ulteriormente la qualità di assistenza offerta alla popolazione in età neonatale, rappresentando al momento attuale una realtà significativa in ambito regionale”.

L’iter diagnostico prevede l’utilizzo delle otoemissioni acustiche, come metodica di screening, riconosciuta a livello internazionale non invasiva, economica, di esecuzione rapida, ripetibile, sensibile e specifica, seguita da una valutazione audiologica affidabile con l’utilizzo di valutazioni oggettive elettrofisiologiche. L’iter riabilitativo successivo prevede l’avvio precoce alla protesizzazione acustica ed al trattamento logopedico con dei controlli periodici per monitorare i risultati e valutare, in caso di limitato beneficio dall’uso di questi ausilii, la possibilità di intervenire chirurgicamente attraverso l’applicazione di un impianto cocleare. L’impianto cocleare è un dispositivo impiantatbile, che consente con un intervento chirurgico di ripristinare completamente il canale uditivo e quindi l’accesso alle informazioni verbali anche nei soggetti con sordità profonda.