Il 30 gennaio 1944, a poco più di un mese dall’uccisione dei sette fratelli Cervi e di Quarto Camurri, nel poligono di tiro di Reggio Emilia i fascisti repubblichini fucilarono don Pasquino Borghi e altri otto antifascisti: Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovanetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini.

Il 66° anniversario dell’eccidio è stato ricordato oggi con la deposizione di una corona in omaggio dei martiri presso il poligono di tiro cittadino e con una commemorazione presso l’Istituto comprensivo Don Pasquino Borghi di Rivalta a cui hanno partecipato i rappresentanti di Comune e Provincia di Reggio Emilia, istituto ‘Alcide Cervi’, Istoreco, Anpi, Alpi- Apc, Anppia.

Per il Comune di Reggio è intervenuta l’assessore all’Educazione Iuna Sassi che ha ricordato il valore del sacrificio dei nove martiri in nome della libertà e della democrazia e che ha letto una testimonianza sulla figura di don Pasquino Borghi, tratta da “Un prete nella Resistenza. Don Pasquino Borghi” di Salvatore Fangareggi:

“L’ultimo viaggio in città di don Pasquino Borghi è dell’11 gennaio.

Il parroco di Tapignola era sceso per chiedere ai dirigenti del CLN scarpe, viveri, armi e radiotrasmittenti per i gruppi partigiani che erano privi di tutto all’inizio della loro attività.

L’incontro avvenne nella canonica di San Pellegrino, ove di consuetudine si riunivano gli antifascisti cattolici. Don Pasquino ebbe un colloquio con don Cocconcelli e con Giuseppe Dossetti, che lo pregarono con molta insistenza di sospendere temporaneamente la sua attività di appoggio al partigianato e di trasferire altrove gli ospiti della sua canonica. Da una persona amica che lavorava in Prefettura, si era venuti a conoscenza che il presidio repubblichino di Villa Minozzo aveva trasmesso a Reggio prove schiaccianti contro don Borghi. La già progettata azione nei confronti di Tapignola doveva pertanto ritenersi imminente.

A questo ennesimo invito alla prudenza, don Pasquino rispose con una frase che viene da sempre ricordata negli ambienti dell’antifascismo reggiano: “Dove li mando questi poveri ragazzi se nessuno li vuole ospitare?”

E poco dopo, questo sacerdote che sembrava svolgere la propria missione con una semplicità e una naturalezza piuttosto inconsuete, uscì con una frase che, pur riprendendo un luogo comune piuttosto frequente per allora, significava comunque l’inequivocabile presa di coscienza di fronte al peggio: “Possiamo anche dare la vita per la causa della patria, non è vero?”.

Dossetti e don Cocconcelli si resero conto della fermezza di don Pasquino, e non insistettero oltre.

Ancora una volta, il semplice sacerdote era coerente fino all’ultimo alla propria missione”.

Le celebrazioni di sono chiuse con lo spettacolo teatrale liberamente tratto da ‘La tregua’ di Primo Levi, organizzato per gli studenti dell’istituto Don Pasquino Borghi e della Scuola media Dalla Chiesa, della Compagnia Bonaventura.