Il futuro dei Parchi in Emilia-Romagna è a rischio e la nuova legge che la Regione intende approvare non dà le garanzie necessarie alla tutela del grande patrimonio naturalistico oggi in gioco. Questo in sintesi il senso delle osservazioni presentate da Legambiente all’udienza conoscitiva svoltasi lunedì 28 novembre presso la Regione.

“Le aree protette anche della nostra provincia – dichiara Massimo Becchi presidente di Legambiente Reggio Emilia – soffrono le pressioni di un territorio che negli ultimi trent’anni da un lato ha visto un progressivo abbandono di molte aree con relativa perdita di biodiversità, e dall’altro ha dovuto sostenere uno sviluppo economico sempre più forzato dalla competizione internazionale, senza tuttavia poter contare su un corrispondente incremento della percentuale di territorio protetto (un misero 8% a fronte dell’11 % nazionale e un obiettivo globale del 17%), o di personale dedicato e strutture adeguate per raggiungere gli obiettivi di frenare il consumo di suolo.

Oggi parchi e riserve in Emilia-Romagna costano circa 10 milioni di euro all’anno, suddivisi tra Regione, Province, Comunità Montane e Comuni. Con questi soldi vengono svolte moltissime attività: pianificazione, amministrazione, manutenzione, vigilanza, progettazione, gestione della fauna e tanto altro, su circa 153.000 ettari di territorio. Sul bilancio della Regione le aree protette hanno un peso pari allo 0,03%: pari a 2 euro e 25 centesimi all’anno per abitante. Lo stesso costo annuale di tutte le aree protette regionali equivale a 200 metri di una delle tante nuove autostrade che stiamo per finanziare sullo stesso territorio.

Il nuovo sistema potrà contare su 78 addetti: un dipendente ogni 3.641 ettari di territorio protetto. Il personale addetto alla vigilanza sarà invece di un guardiaparco ogni 40.000 ettari, corrispondenti al triplo dell’intero comune di Bologna, ma distribuiti in. modo molto più sparso. La Regione non ha ancora spiegato il motivo per cui ha scelto la strada complicata ed incerta di cinque nuove “macroaree”, senza alcun legame reale con l’ambiente e il territorio, anziché affidarsi a criteri scientifici e più’ adeguati ai fini della conservazione della natura. La cosiddetta “riorganizzazione” dei parchi assomiglia più ad una “disorganizzazione”, soprattutto se saranno confermate la possibilità delle Province di non trasferire alle “macroaree” le proprie funzioni di gestione dei Siti Natura 2000, e l’esclusione dagli enti di gestione delle associazioni ambientaliste e di altre categorie.

“Più che di riorganizzazione sembra una destrutturazione del sistema delle aree protette – conclude Becchi -: la nostra associazioni gestisce da oltre un decennio la Riserva Orientata dei Fontanili di Corte Valle Re, in collaborazione con il Comune di Campegine e nulla è dato di sapere del futuro di quest’area protetta, che conserva uno degli ultimi sistemi di fontanili della nostra regione. E’ inoltre assordante il silenzio della Provincia che ha già dimostrato di non interessarsi del sistema delle aree protette, smantellando l’ufficio parchi, ridotto al lumicino. Chiediamo all’Assessore Tutino di chiarirci se la Provincia ritiene di continuare a gestire le riserve naturali ora di sua competenza o se le vorrà delegare al futuro ente di gestione sovra provinciale, vanificando il lavoro dei volontari e di chi in questi anni ha creduto nella conservazione della biodiversità. Chiediamo inoltre un momento congiunto di discussione anche con i Comuni interessati sia dalle Riserve regionali (Campegine, Canossa e Rubiera ) che da tutte le altre realtà appartenenti alla Rete Natura 2000, comprendente i siti SIC e ZPS della nostra provincia”.