L’Emilia-Romagna si conferma terra nemica della mafia, anche se l’allarme è alto perché i segnali di un continuo tentativo di espansione lungo la via Emilia sono forti. È questo il quadro che emerge dalla, realizzato da Enzo Ciconte, già senatore, esperto dello studio e dell’analisi dei fenomeni legati alla criminalità organizzata. Realizzata all’interno delle attività della legge regionale sulla prevenzione dell’infiltrazione mafiosa e la promozione della legalità, approvata un anno fa dalla Regione Emilia-Romagna, la ricerca verrà presentata domani 13 giugno a Bologna nel corso di un incontro pubblico che, tra gli altri, vedrà la partecipazione del Procuratore della Repubblica di Bologna Roberto Alfonso, della vicepresidente e assessore alle Politiche per la Sicurezza della Regione Simonetta Saliera, di Andrea Campinoti di Avviso Pubblico e dello stesso Ciconte (ore 15, Sala Auditorium, viale Aldo Moro, 18). “Si tratta di appuntamento di grande importanza soprattutto per il valore dello studio che sarà presentato e l’alto livello degli ospiti che interverranno”, spiega Saliera.

Il volume, una dettagliata opera di oltre 200 pagine, analizza il rapporto tra Emilia-Romagna e criminalità organizzata dall’immediato dopoguerra fino ad oggi. La ricostruzione si ferma, infatti, a inizio 2012 e offre quindi un quadro aggiornato della situazione. Si conferma che i primi tentativi di infiltrazione mafiosa in Emilia-Romagna risalgono agli anni ‘50 e ’60 come conseguenza dei soggiorni obbligati, mentre le prime indagini rilevanti e i primi segnali di presenza mafiosa risalgono all’inizio degli anni ’90. Nel corso di questi anni il fenomeno è però molto mutato: se negli anni del boom economico i “boss” erano in gran parte siciliani, oggi, specie nel modenese, a farla da padroni sono i casalesi che, come confermano molte inchieste giudiziarie e operazioni di pubblica sicurezza citate da Ciconte, stanno facendo di tutto per conquistarsi spazi nel settore del movimento terra e delle bische clandestine.

La ricerca conferma che l’Emilia-Romagna rimane terra ambita, prima perché terra ricca dove era possibile fare affari e ora, negli anni della crisi, perché proprio la cattiva congiuntura economica e le difficoltà per le imprese di accesso al credito, offrono alle organizzazioni criminali nuovi terreni d’azione. Allo stesso tempo, però, anche la criminalità del terzo millennio si trova, come un tempo, di fronte un muro istituzionale fatto di politica, enti locali, società civile, libera stampa che sanno dire di no e lottano per impedire che le cosche piantino radici. “Negli ultimi dieci anni nessun’altra Regione si è impegnata per studiare il fenomeno mafioso e per agire di conseguenza come l’Emilia-Romagna”, spiega Ciconte che ricorda anche come “molti sindaci hanno allontanato aziende in odore di mafia che pure avevano partecipato o volevano partecipare a gare d’appalto”. Insomma, lungo la via Emilia la corazza istituzionale è solida. A confermarlo, anche la lunga scia di attentati e intimidazioni che hanno avuto ad oggetto spesso anche i politici locali. La ricerca rileva infatti una certa frequenza di atti intimidatori verso politici della nostra regione, sindaci in particolare, ma anche esponenti di partito senza cariche amministrative. Anche questo è il segno di un cambiamento, per quanto ancora embrionale, nelle strategie della mafia in Emilia-Romagna, ma è anche la dimostrazione della capacità di resistenza della politica locale.