carabinieri20Nella tarda serata di ieri, 1 gennaio, di fronte alle richieste di chiarimento degli inquirenti, E.E., 41enne bolognese, ha confessato di aver inventato tutto perché aveva bisogno di soldi. Così si chiude il cerchio su una vicenda che, sin dal primo momento, aveva fatto sorgere grossi dubbi ai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Bologna e del NOR della Compagnia di Bologna Borgo Panigale, nonché alla Procura di Bologna che coordinava le indagini sotto la direzione del P.M., dott. Stefano Orsi.

L’uomo aveva fornito numerosissimi dettagli della sua “prigionia”, forse troppi, tanto da non riuscirne più a dare una versione coerente. In particolare: l’autovettura rinvenuta ordinatamente parcheggiata e chiusa a chiave in una piazzola di Torre Verde di Castel Maggiore, la prigionia in un casolare di Monteveglio di cui non riusciva a fornire alcuna indicazione per la localizzazione, il digiuno (per sete avrebbe bevuto la sua stessa urina) e i maltrattamenti subiti da parte dei rapitori. Di fatto, a parte alcuni tagli superficiali (poi risultati autoinferti con una lametta), il suo buono stato di salute è apparso assolutamente incompatibile con quanto aveva raccontato. Così lentamente la sua iniziale sicurezza ha iniziato a vacillare, sino a crollare definitivamente con una confessione di quanto era realmente accaduto.

Il piano era stato ideato e realizzato con la complicità della sorella che, dal luogo in cui è stata rinvenuta l’autovettura, lo avrebbe accompagnato ed ospitato in un appartamento di sua proprietà ubicato in questa zona “Barca”. La sorella, infatti, nei tre giorni del dichiarato rapimento (dopo la denuncia di scomparsa da lei stessa effettuata in Questura insieme alla cognata, allo stato estranea ai fatti), gli avrebbe portato regolarmente i pasti e lo avrebbe riaccompagnato la mattina del 31 dicembre scorso nelle campagne di Monteveglio, dove E.E. ha simulato la sua liberazione. Tutto questo per poter disporre della somma di denaro (circa 47.000 euro, ricevuti da un commerciante conoscente per versarli in una banca di Funo di Argelato) necessaria a ripianare alcuni dei debiti che l’uomo aveva accumulato negli anni scorsi a seguito di una sua attività commerciale poi fallita. Il resto lo avrebbe poi diviso con la sorella, che invece svolge una regolare attività impiegatizia.

Anche su questi dettagli sono in corso indagini da parte dell’Arma per ricostruire il quadro completo della situazione finanziaria che avrebbe indotto E.E. a simulare un così grave reato. Per il momento l’accusa nei suoi confronti è di simulazione di reato in concorso.