dam-1Sarà uno degli eventi musicali della stagione: arrivano a Bologna, in tappa unica per l’Italia, gli inventori del rap palestinese, i DAM, un mix travolgente di perfetto hip hop, calore mediterraneo e impegno politico, che da quasi 15 anni sta accompagnando i giovani del Medio Oriente e di tutto il mondo arabo. Tamer, Suhell e Mahmoud, i tre cantanti, sono ormai un mito in patria, in Europa e oltreoceano, e rappresentano uno dei momenti più sorprendenti del festival “Cuore di Palestina”, giunto ormai a metà programmazione, venerdì 19 luglio a partire dalle 19.30, sempre a Teatri di Vita, Bologna (infoline: 051.566330, www.teatridivita.it). Prima del concerto, il cinema propone “Il tempo che ci rimane” di Elia Suleiman, genio umoristico palestinese, che ripercorre la storia drammatica della sua terra con un’ironia caustica e beffarda, componendo sketch grotteschi. Prima ancora, tocca alle “Lettere dal fronte interno”, che vedranno come autore un pastore palestinese che racconta la propria storia.

Completano il festival, come tutte le sere, la mostra di Ahmad Mesleh, il ristorante con una vera tenda palestinese allestita nel parco dove sostare mangiando o fumando il narghilè, e l’evento collaterale “L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi” di Copi, diretto da Andrea Adriatico, con Anna Amadori, Olga Durano e Eva Robin’s.

PROGRAMMA DELLA GIORNATA

Alle ore 19.30 si apre la tenda-ristorante palestinese, che offrirà diversi menù tipici palestinesi (tra maqlubeh, couscous, falafel, kebab…), ma anche il tipico narghilè, a cura di Jamil Shihadeh del ristorante Al Salam.

Alle ore 20, primo appuntamento con lo spettacolo. Torna tutte le sere del festival, come evento collaterale, “L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi” di Copi, uno spettacolo di Andrea Adriatico, con Anna Amadori, Olga Durano e Eva Robin’s, e con Maurizio Patella, Saverio Peschechera e Alberto Sarti. Una folgorante storia camp dello scrittore e fumettista scomparso nell’87: una sorta di delirante “Tre sorelle” di Cechov inzuppate nel delirio caleidoscopico e transgender tipico dell’autore franco-argentino. Una storia che Adriatico, dopo aver indagato l’universo fantasmagorico e allucinato di Copi in “Le quattro gemelle” e “Il frigo” (quest’ultimo proprio con Eva Robin’s), rilegge in equilibrio tra divertimento grottesco e senso della tragedia.

Alle ore 21, è l’ora delle “Lettere dal fronte interno”: lettere di persone e personalità palestinesi rivolte ai bolognesi. Autore della lettera di stasera è il pastore Mahmoud Ahmamda. La sua lettera verrà letta da Lucrezia Marzolo, impegnata nell’attività agricola e agrituristica.

Alle ore 21.30, tocca al cinema, con un nuovo film di Elia Suleiman: “Il tempo che ci rimane” con lo stesso Elia Suleiman, Saleh Bakri, Samar Qudha Tanus, Shafika Bajjali, Tarek Qubti, Zuhair Abu Hanna, Ayman Espanioli, Bilal Zidani, Leila Mouammar, Yasmine Haj.

Elia Suleiman è la personalità cinematografica più originale della Palestina, sia come regista che come attore, con la sua maschera grottesca e impassibile di fronte allo sfacelo della Palestina. Questa volta il regista ci racconta col suo umorismo beffardo la storia del conflitto con Israele, dal 1948 fino ai giorni nostri, attraverso la storia della propria famiglia, tra tragedia e comicità. Con una implacabile critica alla degenerazione sociale: in pratica, dall’intifada al karaoke, in una delle scene più spiazzanti della pellicola.

Il film, in cui compare lo stesso regista con la sua caratteristica espressione stralunata e raggelata, è pieno di scene cult, a cominciare dall’irresistibile gag del carrarmato che punta un ragazzo che parla col telefonino fino al salto con l’asta del muro di cemento costruito dagli israeliani: risate (amare) garantite.

Elia Suleiman è nato a Nazareth nel 1960 da palestinesi di religione cristiana. Dopo aver studiato per dieci anni a New York, torna in patria e insegna cinema all’Università Birzeit di Gerusalemme. Il suo primo film “Cronaca di una sparizione” gli fa vincere il premio come miglior opera prima alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1996. Seguono “Cyber-Palestina”, “Intervento divino” e “Il tempo che ci rimane”. Recentemente ha firmato uno dei sette cortometraggi che compongono il film “7 days in Havana” insieme, tra gli altri, a Laurent Cantet e Benicio del Toro.

Alle 23 parte l’attesissimo concerto dei DAM. La musica attualmente più diffusa e popolare nelle giovani generazioni palestinesi è il rap, capace di veicolare aspirazioni e frustrazioni dei giovani intrappolati in una condizione di impasse esistenziale, sociale e politico che la musica aiuta a esprimere. A rappresentare qui la miriade di formazioni hip hop, sarà il primo gruppo rap palestinese, nonché tra i primi a rappare in arabo (ma nei suoi testi sono presenti anche inglese ed ebraico): i DAM, per la prima volta a Bologna. Il gruppo, che ha sede a Lod, città israeliana, è stato fondato nel 1999 dai fratelli Tamer e Suhell Nafar e da Mahmoud Jreri. Le loro canzoni e i loro video portano in primo piano le questioni legate al conflitto israelo-palestinese, ma anche emergenze sociali come la droga e la violenza sulle donne.

DALL’ANSA, 9 luglio 2013 (articolo di Michele Monni): Si chiama ‘Dabke on the Moon’ e potrebbe essere ­ a giudizio degli esperti ­ il fenomeno musicale di questa estate in Medio Oriente e non solo: un mix di atmosfere raggamuffin giamaicane e musica araba tradizionale fuse a ballate pop senza pero’ dimenticare il classico beat tipico dell’R&B. Il cd e’ l’ultima l’ultima fatica del gruppo musicale dei ‘Dam’, tre ragazzi arabi israeliani di Lod (non lontano da Tel Aviv) che il 19 luglio ­ dopo un tour negli Usa e in Europa, dove sono molto noti ­ si esibiranno a Bologna nell’ambito della manifestazione ‘Teatri di vita: cuore di Palestina’. ‘Dabke on the Moon’ segna un cambiamento deciso nelle atmosfere e nelle sonorita’ dei Dam: in precedenza, struttura delle canzoni e base musicale sono stati di diretta ispirazione americana, con un occhio particolare all’ Hip Hop della West Coast che ha avuto in 2Pac Shakur uno dei suoi maggiori esponenti. Ora invece i Dam pur restando ancorati ad un panorama musicale fusion lo ravvivano con la tradizione, visto che il Dabke e’ il ballo popolare palestinese e di altri paesi come Libano, Siria ed Egitto.

Da anni sulle scene, i Dam (i fratelli Tamer e Suhell e l’amico di infanzia Mohammed) hanno cominciato giovanissimi alternando nella loro produzione musicale sia aspetti poetici sia tematiche coinvolte piu’ direttamente nella realta’ politica e sociale di arabi di Israele. Del resto la band ­ che canta sia in arabo sia in ebraico e anche in inglese ­ e’ considerata una di quelle in cui il messaggio politico non passa inosservato (e anche controverso) e nella loro carriera raccontano di essersi scontrati sia con le ”pressioni dei servizi di sicurezza israeliani” sia con i clerici musulmani e le fasce piu’ retrive palestinesi a cui la loro musica, il rap, non piace perche’ ritenuto contrario all’Islam. ”Da quando abbiamo iniziato a scrivere musica ­ osserva Tamer ­ ci siamo sempre concentrati sul messaggio di protesta per denunciare le condizioni dei palestinesi sotto occupazione” e per cercare di ”smuovere le coscienze del popolo israeliano” che, a suo giudizio, ”e’ imbevuto di propaganda”. ”Ma abbiamo sempre cercato ­ aggiunge ­ di mostrare il lato umano e non solo quello politico del conflitto”. Per spiegare il significato del titolo del loro ultimo album, Tamer ricorre ­ con il suo punto di vista sul conflitto ­ all’ultima guerra a Gaza di novembre scorso: ”da una parte ­ dice ­ si scavavano tunnel necessari a far entrare generi di prima necessita’ e allo stesso tempo negli Stati Uniti si lancia un nuovo programma spaziale per raggiungere la luna”. Per la band, il titolo vuole tracciare un parallelismo ”tra le aspirazioni di liberta’ del popolo palestinese” di Gaza e quelle americane, ”proiettate verso lo spazio e le stelle.

Dell’album (11 tracce) fa parte ‘Mama I fell in love with a jew’ (‘Mamma mi sono innamorato di un ebrea’): storia in musica, tra ironia, paradosso e allusioni sessuali, di un colpo di fulmine tra uno dei membri della band e una ragazza ebrea.

“Cuore di Palestina” è nell’ambito di “Bè Bologna Estate 2013”, in collaborazione con Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, Fondazione del Monte, Fondazione Carisbo; con il sostegno di AssoPace Palestina e Hotel Maggiore; con il patrocinio della Missione Diplomatica Palestinese a Roma.