SalvatoreBenedicenteElGrecoDopo un sapiente restauro, è tornato a nuova luce uno dei capolavori della collezione della Galleria Parmeggiani di Reggio Emilia. Intitolato Il Salvatore benedicente, è stato dipinto da El Greco, nome d’arte di Dominikos Theotokopoulos (Candia,1541- Toledo,1614): di origini greche, visse in Italia e Spagna, divenendo uno dei maestri più rappresentativi del Rinascimento spagnolo e, date le sue origini e i luoghi della sua vita, figura di riferimento nell’Epoca d’Oro dell’arte europea e mediterranea.

Grazie al sostegno di Rotary Club Reggio Emilia Val di Secchia e alla sponsorizzazione di Banca Alberini Syz spa, il quadro Il Salvatore benedicente è stato oggetto di restauro da parte dello “Studio Dell’Amore” di San Lazzaro di Savena (Bologna) ed è ora ricollocato al centro della Galleria Parmeggiani.

L’intervento di restauro è stato presentato alla stampa nella stessa Galleria, dal sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, da Giovanni Fracasso presidente dello stesso Rotary Club Reggio Emilia Val di Secchia e da Angelo Drusiani di Banca Albertini Syz spa. Con loro, sono intervenuti Elisabetta Farioli direttore dei Musei Civici di Reggio Emilia e Maria Dell’Amore del laboratorio di restauro Studio Dell’Amore.

“Oggi la nostra città e la sua comunità sono più ricche, consapevoli e attrattive – ha detto il sindaco Vecchi – grazie al restauro di un’opera di sorprendete bellezza e di grande valore artistico, che viene riconsegnata all’interesse di tutti. Il restauro, di cui siamo grati ai sostenitori e agli esperti che lo hanno realizzato, ha consentito al dipinto di ‘riemergere’ in tutta la sua forza suggestiva, attraverso il ritorno a colori, luce e leggibilità originali. Più che mai in questo caso, possiamo parlare dunque di una piena valorizzazione: da una parte artistica riguardo all’opera d’arte, dall’altra della cultura e del patrimonio della città. Un intervento che consente alla comunità di avere una maggiore consapevolezza dei propri beni, della propria storia e identità.

“E questo – ha sottolineato il sindaco – è frutto di un lavoro collettivo che ha unito l’istituzione pubblica museale e la sensibilità ed il contributo privati: un salto in avanti, che ci incoraggia a impegnarci in questa sinergia virtuosa pubblico-privata. Un fare rete che ci porta, più in generale, a rafforzare e sviluppare la collaborazione fra le diverse istituzioni culturali cittadine, quelle comunali e altre fra le quali la Fondazione Palazzo Magnani e la Fondazione Manodori”.

Il presidente del Rotary, Fracasso ha sottolineato la convinta partecipazione del Club a questa operazione, la cura e la propositività dei Musei Civici reggiani e il valore internazionale dell’opera e dell’autore: “Un ponte, oggi quanto mai significativo, che unisce Oriente e Occidente rispetto in particolare all’Europa mediterranea”.

Drusiani di Banca Albertini ha evidenziato “il piacere di aver partecipato a un’azione importante per Reggio Emilia e per il suo rilevante patrimonio artistico e culturale” ed ha sottolineato quanto “l’arte sia un incommensurabile risorsa, anche di crescita economica, sia per Reggio sia per l’Italia. Occasioni come quella di oggi non fanno che ricordarcelo, stimolandoci a un sempre maggiore impegno in questa direzione”.

Farioli, addentrandosi nel profilo critico del Salvatore benedicente, ne ha evidenziato “l’intensità spirituale, il riferimento all’iconografia bizantina, la figura tutta scossa da una vibrazione interiore, i colori azzurro acido e rosso carminio acceso degli abiti che, insieme alla luce, ad esempio dell’aureola, sono stati riscoperti grazie al restauro: un lavoro che ha ridonato al quadro la capacità originaria di un forte impatto emotivo a chi lo ammira”.

Dell’Amore, infine, ha illustrato i diversi passaggi del restauro, consistito fra l’altro in una attenta pulitura della superficie pittorica originale che ha rimosso la pesante ridipintura bruna del fondo, i ritocchi che enfatizzavano i contorni delle dita e mimetizzavano le aree di lacuna rendendo visibile il reale stato di conservazione dell’opera.

 

LA FORTUNA DI EL GRECO – L’originalità e la modernità di El Greco sono in realtà un riconoscimento postumo, avvenuto solo a metà dell’Ottocento, perché, non si esclude, negli anni in cui visse pagò il prezzo del suo carattere ribelle e altezzoso. Solo nel XIX secolo El Greco divenne un modello a cui ispirarsi: lo fecero abbondantemente artisti del calibro di Manet, Cézanne, Picasso, Modigliani, Matisse, Duchamp, Soutine, Chagall, Kokoschka, Schiele, Beckmann, Dix, Giacometti, Pollock e Bacon. La definitiva consacrazione è poi arrivata con la grande mostra che il Museo del Prado ha organizzato per celebrare il quarto centenario della morte del pittore,nel 2014.

 

IL QUADRO NELLA STORIA E NELL’ARTE – Ritenuto autografo da tutta la letteratura, il dipinto Il Salvatore benedicente di Reggio Emilia è uno dei capolavori che Luigi Parmeggiani portò con sé in città a partire dal 1924 e una delle poche opere delle quali sia possibile risalire, almeno in parte, alla provenienza.

Risulta infatti che il Salvatore benedicente appartenesse alla collezione di sir Charles Robinson (1824 – 1913), collezionista e consulente del Victoria and Albert Museum di Londra, figura molto autorevole nell’ambiente artistico dell’Inghilterra vittoriana.
Appartenuta probabilmente ad un Apostolado, serie di dipinti rappresentanti il Salvatore o Redentore con i dodici Apostoli, l’icona del Salvatore benedicente è trattata da El Greco in varie versioni; quelle rimaste sono esposte presso il Prado di Madrid, la National Gallery of Scotland di Edimburgo, la casa museo di El Greco a Tolosa (unica a raccogliere tutta la serie).

Di queste versioni, la più simile al dipinto della Parmeggiani per unanime considerazione è quella di Edimburgo; quella del Prado presenta la figura del Cristo priva del mantello azzurro e con il volto leggermente rivolto a destra, mentre quella di Toledo risulta differente nella disposizione delle braccia.

Robinson con ogni probabilità entrò in contatto con Parmeggiani attraverso il tramite di Ignacio Leon Y Escosura, pittore, antiquario e collezionista spagnolo che non difficilmente entrò in contatto con l’inglese per la condivisa frequentazione di ambienti e personaggi che ruotavano attorno all’allora fiorente e quanto mai ricco mercato artistico e  antiquario. Della collezione raccolta da Escosura Parmeggiani stesso, attraverso tortuose e non del tutto chiarite vicende, diverrà amministratore prima e proprietario poi.

In occasione della mostra su El Greco a Parigi del 1938 in cui è esposto anche il Salvatore della Parmeggiani, un articolo di giornale dell’epoca, conservato presso l’archivio dei Musei Civici di Reggio Emilia (purtroppo senza data, proveniente dall’archivio Coscelli), racconta una versione differente quasi certamente fornita dal Parmeggiani stesso: che l’opera venne a lui direttamente dal Robinson alla fine dell’Ottocento, periodo in cui Parmeggiani, dopo un periodo di carcere a Parigi, si trasferì a Londra; secondo Marchesini proprio in quel periodo e precisamente nel 1894, iniziarono i primi rapporti con l’illustre inglese in occasione della vendita di oggetti antichi al Victoria and Albert Museum. Il passaggio diretto tra Robinson e Parmeggiani sarebbe contraddetto dalla data di vendita riportata da Sanchez (7 maggio 1868); d’altro canto Parmeggiani non è nuovo nel dare versioni romanzesche della suo vicenda biografica, come fa per il suo “incontro fatale” con Escosura, a suo dire avvenuto per caso durante il pieno periodo anarchico e invece avvenuto per il tramite dell’amante, e moglie del pittore, Marie Marcy – Filieuse.

Come scrive Perez Sanchez e come risulta anche dall’ultimo restauro l’opera è stata oggetto di numerosi interventi che ne hanno in parte alterato l’aspetto; il fondo bruno è stato rifatto probabilmente per accondiscendere al gusto del proprietario, mentre una serie di lacune è stata risarcita. Pare, secondo lo stesso Sanchez, che le ombreggiature ritoccate risalgano alla seconda metà degli anni venti facendo così pensare ad un intervento richiesto dallo stesso Parmeggiani con l’opera già a Reggio, ed eseguita molto probabilmente dal pittore e restauratore Giuseppe Menozzi, che, pare, avesse già eseguito interventi “non ufficiali” su alcune opere della Galleria.