Zangheri-ConsiglioQuesta mattina a Palazzo d’Accursio, il Consiglio comunale si è riunito per ricordare Renato Zangheri, Sindaco di Bologna dal 1970 al 1983, nel trigesimo della scomparsa. Alla seduta è intervenuto il Presidente Emerito della Repubblica Giorgio Napolitano che ha ricordato la figura dell’ex Sindaco a cui era fortemente legato.

“E’ la seconda volta che mi accade di prendere la parola in questa sala dinanzi all’assemblea rappresentativa della città di Bologna convocata in seduta pubblica e aperta a numerosi ospiti – ha detto Presidente Emerito della Repubblica -. La prima volta fu, molti anni or sono, per la celebrazione del quarantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci che mi era stata affidata dal sindaco Zangheri.
E cito quell’episodio come un momento e un segno, tra i tanti, del rapporto strettissimo che ci ha legato per una vita: rapporto di reciproca stima, di affettuosa integrale amicizia, di comunanza ideale, di collaborazione politica, istituzionale, culturale.
Di Renato Zangheri Sindaco di Bologna, naturalmente hanno detto e possono dire meglio di tutti, quanti gli sono stati più vicini nell’esercizio di quel ruolo: che egli assunse, per poi mantenerlo a lungo, dopo gli anni di quotidiana cooperazione con il predecessore Guido Fanti e dopo gli anni del decisivo apprendistato politico, umano, amministrativo, a fianco di Giuseppe Dozza.
Diversissime, certo, le fisionomie del grande sindaco del periodo immediatamente successivo alla Liberazione e del nostro Renato, ma comune e profondo l’afflato ideale e morale in cui si riconobbero oltre ogni distinzione di generazione e di temperamento.
Vorrei, dal canto mio, limitarmi oggi a mettere in evidenza – della fondamentale esperienza di governo della città di Bologna cui è rimasto legato il nome di Renato Zangheri – due dimensioni. Quella della qualità culturale e quella dello strenuo attaccamento alle istituzioni repubblicane e alle regole di vita democratica, da coltivare e tutelare con assoluta fermezza. Queste due dimensioni si intrecciarono d’altronde fin dall’inizio nella personalità e nell’impegno di Renato, e non solo nello svolgimento delle funzioni di amministratore e sindaco.
Renato è stato intellettuale di prima grandezza, e figura di sindaco tra le più alte dell’Italia repubblicana. Aveva iniziato dandosi agli studi di storia all’università di Bologna, allievo e ben presto assistente di Luigi dal Pane; e si era dedicato in modo particolare alla storia dell’agricoltura e del movimento contadino, allargando via via gli interessi e gli orizzonti della sua attività di studioso, e incontrando ben presto la politica.
Egli disse di sé – presentando la sua ultima grande opera di storico – “chi scrive ha compiuto”, dopo la tesi di laurea e le prime ricerche, “un lungo détour occupandosi prevalentemente, sul piano scientifico, di storia economica, e via via di politica immischiandosi in molte speranze ed errori del suo tempo”.
In effetti lungo questo percorso di intellettuale politico egli fu chiamato a importanti incarichi nazionali, così nella presidenza dell’Istituto Gramsci come nella direzione della rivista Studi Storici, diventando, in particolare, punto di riferimento e di raccordo dell’ampia area, eccezionalmente rappresentativa, della cultura storiografica italiana politicamente orientata verso il Partito Comunista. E più in generale contribuì in modo continuativo allo sviluppo di quella “politica culturale del PCI” che fu fenomeno peculiare e senza eguali nell’ambito della sinistra comunista e socialista europea.
La finezza intellettuale e la sensibilità culturale di Renato Zangheri caratterizzarono al tempo stesso scelte e iniziative della sua attività di sindaco: così quelle della pianificazione urbanistica, con la collaborazione di rappresentanti tra i più significativi di quel campo sul piano nazionale e internazionale, e tutte le altre che fecero di Bologna un polo di attrazione della vita intellettuale e politico-culturale nel paese. Teatro, musica, valorizzazione del patrimonio storico-artistico… . Mi si consenta di ricordare, per tutti, il momento in tutti i sensi emozionante, e a me rimasto carissimo, del concerto di Maurizio Pollini ospitato nel gennaio del ‘73 al teatro comunale di Bologna in solidarietà con le sofferenze del popolo vietnamita.
Sulla qualità culturale di Renato, quale si espresse – fino a quando non ne vennero meno le condizioni – sul piano della produzione di studioso, tornerò più avanti. Ma prima mi tocca dar conto dell’accento da me posto anche sul tema del rapporto tra la visione e l’azione pubblica di Renato Zangheri e la causa suprema della salvaguardia delle istituzioni e delle regole di convivenza democratica.
La celebrazione, che ho già richiamato all’inizio, del 40° anniversario della morte di Antonio Gramsci dinanzi al Consiglio Comunale di Bologna si tenne il 7 giugno del 1977. Due mesi prima Bologna era stata teatro di violenze e vandalismi senza precedenti per reazione all’uccisione di un giovane militante dell’estremismo di sinistra nel corso di una pesante contestazione, da parte di quell’area, di una libera assemblea del movimento di Comunione e Liberazione.
Personalmente rammento che mi trovavo quel giorno fuori d’Italia, a Londra, per un incontro politico-culturale e lì ci giunsero le notizie e le immagini di ciò che stava accadendo nel capoluogo emiliano. Seguii, come altri insieme con me seguirono, quei terribili fatti con un senso di dolore e di sgomento nel vedere così profondamente ferita una città civilissima, una comunità operosa sempre portatrice di una tradizione di apertura e di progresso sociale.
La situazione che si presentava ancora nel giugno del 1977 non solo a Bologna ma nel paese venne richiamata dal Sindaco Zangheri nelle parole che pronunciò prima del mio discorso celebrativo : “La nostra convivenza politica e civile è insidiata e attaccata, ed è necessario richiamare tutte le forze, le più profonde, tutte le più genuine ispirazioni, al fine della salvaguardia e dello sviluppo dei valori di libertà e di giustizia posti a fondamento dello Stato repubblicano. Bologna è stata in questi mesi uno dei teatri prescelti per l’assalto anti-democratico. Ci siamo uniti più che non fossimo … dando prova della capacità di far fronte ai pericoli tenendo conto di un interesse democratico superiore. C’è chi ci avverte che l’assalto continuerà, in altre forme. La previsione non ci spaventa. Ogni evento ci troverà al nostro posto, con coscienza retta, consapevoli del nostro dovere. La città e il paese attendono da chi ha responsabilità politiche solo una prova di fermezza, insieme con la capacità di uscire dalla crisi, di fronteggiare l’eversione.”
Quella stessa fermezza, quale venne esercitata di fatto dal Sindaco Zangheri e da lui indicata, nel ’77, come ineludibile dovere di fronte all’eversione sedicente rivoluzionaria o di sinistra, sarebbe stata egualmente dichiarata da lui con somma energia qualche anno più tardi, nell’agosto 1980, di fronte alla criminale strage della stazione di Bologna, momento culminante della strategia della tensione e della destabilizzazione anti-democratica. L’immagine e la voce di Renato che pronuncia quelle parole a Piazza Maggiore accanto al Presidente Sandro Pertini che col braccio fermo regge con lui il podio, sono diventate uno dei simboli più belli della vitalità della democrazia italiana.
Ecco, questo della fermezza contro ogni ambiguità e debolezza rispetto a chi attenta alla legalità democratica o viola le regole della convivenza civile resta un grande esempio e insegnamento, sempre attualissimo, lasciatoci da Renato Zangheri.
La vita di Renato fu segnata anche da vicende complesse e dolorose nella sfera degli affetti, dei rapporti personali più sensibili. Lacerazioni, rotture, la perdita della moglie, tensioni e lontananze nel rapporto con la figlia. Infine, un nuovo inizio stroncato tragicamente. Un travaglio, dunque, da cui Renato fu scosso nel profondo. Il corso della sua esistenza venne via via cambiando.
Volse al termine la partecipazione all’attività parlamentare, concludendosi nel 1992 il suo secondo mandato di deputato. Fu per qualche anno Rettore dell’Università di San Marino presso la quale operava la Scuola Superiore di studi storici. Già da anni in aspettativa come professore dell’Università di Bologna, diede le dimissioni nel luglio 1994. Oltre che l’Università lasciò la città stessa di Bologna. Si trasferì nel ’93 nella più raccolta Imola, così vicina a lui storico del socialismo, e peraltro città sempre animata da particolare fervore sociale e politico. Conobbe lì un nuovo calore famigliare, che abbracciò anche una nuova paternità.
Ma se si ritrasse da ogni clamore, Renato di certo non restò inoperoso. Ad Imola poté serenamente cimentarsi con il suo più alto progetto di storico : quella Storia del Socialismo Italiano di cui riuscì a completare e dare alle stampe i due primi volumi. Oltre i quali il declinare delle sue forze non gli consentì di procedere.
Si tratta di un lascito importante. Per rigore metodologico, senso di partecipazione, ricchezza della ricerca, puntualità delle documentazioni, maturità dei risultati. Conta, e non poco, l’avere inteso il socialismo, come dice l’autore, “oltre ogni restrizione di partito e di dottrina”.
E quel che conviene qui sottolineare è innanzitutto la motivazione dell’opera : “La pratica e la teoria del socialismo” sono state “poste in crisi da tragici fallimenti. Ma il socialismo” – scrive Zangheri – “ha fatto parte della realtà dell’Italia e dell’Europa in modo non marginale per più di un secolo. Non sarebbe immaginabile la storia contemporanea del nostro paese senza dare al socialismo la parte che in ogni senso gli è dovuta.”
Renato dunque non è mosso da alcun nostalgismo o da un qualche impulso di attualizzazione ideologica. Egli guarda al presente e al possibile futuro : “mi preme studiare” – dice – “che cos’è stato il movimento di idee e passioni che si chiama socialismo nella storia d’Italia e degli italiani, oggi che questa storia, che la storia del mondo, sembrano giunte a un bivio, dal quale si dipartono strade imperscrutabili.”
Non si può dunque – a me pare voglia dire Zangheri – operare consapevolmente oggi se manca una base di conoscenza e riflessione storica: e ciò vale, io aggiungo, per tutte le grandi forze e correnti politiche e sociali. Vale per ciascuna di esse che abbia conosciuto anche profonde evoluzioni e trasformazioni avendo pur sempre alle spalle “idee e passioni”, esperienze e ispirazioni non cancellabili, da non idoleggiare ma insieme da non “dannare”, rimuovere o ignorare. Non ci si può caratterizzare come partito anche nato da più radici mantenendo solo una traccia sbiadita del DNA dei propri progenitori.
E non si può non sapere – Renato mostra di saperlo bene – che una politica impoverita culturalmente, indebolita nei suoi presupposti di autocoscienza storica e nella sua capacità di sempre nuovo nutrimento ideale perde forza di persuasione e capacità di guida.
Possiamo trarre anche questa lezione dal bilancio di una vita e di un’opera come quelle dell’intellettuale politico Zangheri, del nostro indimenticabile amico Renato? Sì – ha concluso Napolitano -, ne sono convinto e questa è l’occasione per rendergliene – non certo io soltanto – pieno merito con riconoscenza e affetto”.