Questa mattina sono stati ricordati, a 73 anni dalla loro fucilazione nel Poligono di tiro di Reggio Emilia da parte dei fascisti, don Pasquino Borghi e altri otto antifascisti: Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini. Dopo la messa in suffragio dei caduti, celebrata da don Giuseppe Dossetti nella Basilica Beata Vergine della Ghiara, è stata deposta una corona in loro ricordo in vicolo dei Servi, ai piedi della lapide che ricorda il luogo della loro detenzione e il loro sacrificio per la libertà. I martiri sono stati poi ricordati in un momento pubblico svoltosi al Poligono di tiro di via Paterlini, al quale hanno preso parte il vicesindaco di Reggio Emilia Matteo Sassi, il presidente dell’Anpi Ermete Fiaccadori ed Elio Ivo Sassi vice presidente Alpi-Apc.

“Nel ricordare la storia di grande coraggio di don Pasquino Borghi e degli altri otto antifascisti che con lui furono fucilati il 30 gennaio del 1944 – ha detto il vicesindaco Matteo Sassi – dovremmo chiederci cosa ci insegna oggi il loro sacrificio, lo sforzo congiunto di uomini dalle visioni politiche anche molto differenti tra loro, uniti dalla volontà di raggiungere un obiettivo comune: quello della democrazia. Oltre a don Pasquino, furono infatti fucilati dei comunisti, dei socialisti e un anarchico. Credo che oggi la nostra riflessione debba focalizzarsi su questo punto e farci riflettere sulla necessità che l’antifascismo sia in grado di costruire alleanze tra esperienze politiche anche differenti tra loro al fine di garantire il rispetto della libertà e della dignità umana, e dunque della democrazia. Contrastare il populismo e difendere le libertà civili è oggi un compito vasto che deve trovare coese tutte le varie forze politiche che si riconoscono nella Costituzione repubblicana. Questo ancora più, in un momento in cui davanti a noi scorrono le immagini provenienti da un paese che continuiamo a ritenere democratico, gli Stati Uniti di America, con uomini, donne e bambini bloccati dentro gli aeroporti, limitati nelle loro libertà più basilari per il semplice fatto di appartenere a una determinata comunità nazionale”.

Il vicesindaco Sassi ha poi voluto sottolineare come “il Tricolore che oggi è stato innalzato nel ricordo di don Pasquino e degli altri martiri non è per noi un sinonimo di nazionalismo e non ha nulla a che vedere con il populismo e l’intolleranza, mentre ha tutto a che vedere con la difesa delle libertà e della democrazia e con la fedeltà alla Costituzione”.

Don Pasquino Borghi, nome di battaglia Albertario

Pasquino Borghi nasce a Bibbiano il 26 ottobre 1903 da una famiglia di contadini mezzadri.

Entra in seminario a 12 anni, dimostrando una spiccata tendenza alla vita ecclesiastica. Nel 1924 entra nell’Istituto Benedetto XII delle missioni africane in Verona. Nel 1930, ordinato sacerdote, parte per la missione comboniana di Torit, nel Sudan all’epoca anglo-egiziano. Nel 1937 viene fatto rientrare in Italia per motivi di salute e curato presso l’istituto missionario di Sulmona. Nel 1938 entra nella Certosa di Farneta (Lucca), ove emette i voti di certosino. Nel 1939 chiede la dispensa papale per ritornare alla vita sacerdotale “nel mondo”, anche per poter aiutare la madre rimasta vedova e in povertà.

Nominato cappellano nella chiesa di Canolo (Correggio), assume decisa posizione contro la guerra e la dittatura fascista. Dall’autunno 1943 è parroco a Coriano-Tapignola di Villa Minozzo.

Dopo l’8 settembre 1943, inizia un’intensa attività di aiuto ai soldati italiani sbandati, ai prigionieri alleati fuggiti dai campi di internamento e ai primi partigiani. Aderisce alla Resistenza con il nome di battaglia di Albertario.

Il 21 gennaio 1944 viene arrestato a Villa Minozzo da militi della Repubblica Sociale, mentre sta tenendo l’omelia della Messa. Un milite ha la sfrontatezza di schiaffeggiarlo, mentre una maestra in segno di spregio gli sputa sul viso. Inutili i tentativi per salvarlo: don Pasquino viene incarcerato a Scandiano e poi, nell’ultima notte, trasferito nel carcere dei Servi a Reggio Emilia. Subisce percosse, torture e umiliazioni, sopportate con rassegnazione cristiana e con una forza d’animo tale da infondere coraggio ai compagni di prigionia che insieme a lui subivano la medesima sorte. Il 30 gennaio 1944, per rappresaglia dopo l’uccisione di un milite fascista, senza alcun processo, viene fucilato insieme ad altri otto patrioti: Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini. L’esecuzione ha luogo nello stesso Poligono di tiro dove un mese prima, il 28 dicembre 1943, erano stati fucilati i sette Fratelli Cervi e Quarto Camurri. Un distaccamento partigiano viene ben presto intitolato a Don Pasquino, una delle figure più importanti della Resistenza reggiana. Il 7 gennaio 1947, in occasione delle celebrazioni del 150° Anniversario della nascita del Primo Tricolore, il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, consegna alla madre, Orsola Del Rio, la Medaglia d’oro al Valore militare alla memoria.