Meno commercio tradizionale, più ristorazione e turismo. È questo il dato che si staglia sul territorio modenese – conformemente a quello nazionale a dieci anni esatti dall’inizio della grande recessione. Crisi che ha trasformato profondamente i nostri centri urbani, scambiando in molti casi le vetrine dei negozi con pub, bar, ristoranti e attività turistiche.

“Dal 2007 a oggi infatti – fa notare Confesercenti Modena – sono scomparse oltre 1000 attività del commercio in sede fissa in tutta la provincia, oltre il 14% del totale. Piccolissime imprese, per lo più a conduzione famigliare, sostituite in parte da pubblici esercizi e attività ricettive che segnano invece nello stesso periodo un incremento di oltre 11 punti percentuali.”

I numeri. Lo studio di Confesercenti conferma che Modena e il suo territorio – su cui oltre alle difficoltà economiche hanno gravato anche il terremoto del 2012 e l’alluvione del 2014 – si mantiene al secondo  posto in regione per numero di imprese piccole e piccolissime, dietro solo a Bologna. Piazzamento eguagliato purtroppo anche per quello che riguarda le chiusure: 8361, le attività del commercio al dettaglio aperte nel 2007, 7.186 quelle di oggi. 1.175 in meno in dieci anni, un calo quantificabile percentualmente del -14,1%. Il conto maggiormente salato, come anche riscontrato a livello nazionale, è andato ai negozi di abbigliamento e calzature, a quelli piccoli di ferramenta e materiale per costruzioni e rivendite di libri e giornali. Un colpo quello subito dal commercio dovuto sì alla recessione, ma anche alle misure di liberalizzazione introdotte col Governo Monti a partire dal gennaio 2012: insostenibili per i piccoli e solo favorevoli alla Grande Distribuzione Organizzata. Diversa invece la situazione sul fronte dei pubblici esercizi e turismo dove ad essere protagonista è una crescita – almeno da tre anni a questa parte – costante anche nel modenese di attività. Ai 4.129 pubblici esercizi già presenti 10 anni fa, se ne sono aggiunti tra bar, ristoranti ed attività ricettive di vario tipo, altri 477 arrivando così alla cifra di 4.606, segnando un incremento in dieci anni dell’11,6% (anche se in regione in quest’ambito ci sono stati territori come Bologna, ma soprattutto la vicina Reggio Emilia che hanno fatto meglio…).

“Mentre il dinamismo del settore turistico e dei pubblici esercizi è evidente – commenta Confesercenti – il commercio continua a soffrire, schiacciato da una parte da una ripresa della spesa delle famiglie che tarda ad arrivare, ma anche da un trasferimento delle quote di mercato dai piccoli alla GDO dovuto in primo luogo alla liberalizzazione, insostenibile per le imprese familiari e che deve essere ripensata. Ad incidere, anche l’evoluzione tecnologica, come dimostra l’aumento dell’attività online di distribuzione commerciale e vendita.  Un cambiamento dovuto poi alle modificate abitudini, ai diversi stili di vita, alla composizione dei nuclei famigliari, al lavoro sempre meno fisso e stabile, ai pasti sempre più frugali, all’avvento di internet e social. Ma anche dal fatto che la rete commerciale fatta di micro e piccole imprese, quelle famigliari, da anni ossatura portante di territorio e Paese ha subìto e pagato, con l’impossibilità di automantenersi, con le politiche di liberalizzazione e con la mancanza di una vera politica di sostegno. È il segno che la ripresa del commercio deve passare attraverso il sostegno dell’innovazione – misure vere, inserite nel quadro di Impresa 4.0, che permettano di modernizzare – più che di sanzioni per la mancanza del Pos. Perdere le attività di vicinato sarebbe un danno per tutti, non solo per i commercianti: i negozi sono infatti un elemento fondamentale per la qualità della vita dei cittadini, per il valore turistico e la fruibilità del territorio e della sua sicurezza.”