È intorno alla diagnostica e al restauro di una piccola mummia che si articola “Storie d’Egitto”, progetto scientifico che parte dalle analisi sui reperti che ne fanno parte, per riscoprire la raccolta egiziana dei Musei civici con una mostra che inaugurerà sabato 16 febbraio. Le indagini radiologiche (Tac e Rx) hanno costituito la base indispensabile per le analisi paelopatologiche e antropologiche che, insieme alle datazioni C14, hanno consentito di stabilire sesso, età e datazione del piccolo corpo imbalsamato conservato a Modena: si tratta di un bambino di tre anni vissuto fra I e II secolo d.C. in Epoca Romana.

Da questa mattina, martedì 5 febbraio, al terzo piano di Palazzo dei Musei nella Sala del Perù, è iniziato, come da programma, l’intervento di restauro affidato a Cinzia Oliva, fra i massimi esperti italiani nel restauro di tessuti archeologici e mummie egiziane. Il restauro proseguirà fino a venerdì 8 febbraio davanti al pubblico ai Musei civici in largo Sant’Agostino a ingresso libero dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18. Nel weekend, invece, sabato 9 e domenica 10 dalle 15 alle 18, sempre a ingresso libero fino a esaurimento posti (massimo 30 per volta) verranno presentati metodologie e risultati dell’intervento nel settecentesco Teatro Anatomico di via Berengario recentemente restaurato, in collaborazione col Polo Museale UniMoRE.

Le iniziative sono state presentate in anteprima martedì 5 febbraio a Palazzo dei Musei da Gianpietro Cavazza, vicesindaco e assessore a Cultura e Scuola, Francesca Piccinini, direttrice dei Musei civici, Cristiana Zanasi, curatrice del Museo civico archeologico e della mostra “Storie d’Egitto” e la restauratrice Cinzia Oliva e la curatrice della sezione egiziana del civico archeologico di Bologna.

“Questa iniziativa – ha spiegato Cavazza – è una ulteriore dimostrazione della capacità dei nostri Musei di mettersi in rete con istituzioni e protagonisti importanti, tenendo insieme l’approfondimento scientifico e l’utilizzo di tecnologie avanzate con l’obiettivo di condividere con i cittadini le nuove conoscenze anche con linguaggi innovativi, senza mai trascurare gli aspetti didattici rivolti alle scuole”.

Prerequisito indispensabile per procedere al restauro è stata la conoscenza delle risultanze degli esami diagnostici, parte dei quali realizzati grazie alla disponibilità della Struttura di Radiologia dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena, che ha effettuato le indagini richieste in orari straordinari, senza limitazioni al servizio pubblico. La mummia presenta una grande lacerazione e lacuna nella sezione superiore del torace, con distacco della testa (attualmente scheletrizzata) e mancanza dei piedi, confermata dalle indagini radiologiche (Tac). Per ovviare al degrado, nella sezione inferiore del corpo risultano inserite bende realizzate con un tessuto differente che le analisi hanno confermato essere di restauro. La diagnostica ha convalidato che sia le bende originali che quelle di restauro sono di lino.

“La prima operazione di restauro – ha spiegato Cinzia Oliva – riguarda la pulitura, eseguita con grande cautela per riconoscere e distinguere fra il materiale antico depositato sulle fibre (tracce organiche e/o di materiale legato alle tecniche di imbalsamazione) e quello moderno, dovuto ai prodotti dell’inquinamento, di attacchi biologici o di successivi interventi di restauro. La pulitura – ha proseguito – si esegue con un aspiratore chirurgico a bassa potenza e con pennelli di diversa morbidezza, mentre i depositi di polvere più persistenti vengono rimossi per leggera abrasione con spugne in gomma naturale vulcanizzata senza solventi e additivi. Per evitare di forzare o spezzare i tessuti e ripristinare parte dell’elasticità perduta si utilizza un umidificatore a ultrasuoni, che rilascia vapore acqueo a temperatura ambiente. Al termine – ha aggiunto Cinzia Oliva – va consolidato il bendaggio e recuperata ove possibile la forma originale del corpo. Nelle mummie l’impossibilità di procedere con lo sbendaggio impone una metodologia che intervenga solo sul lato a vista del manufatto. Per questa ragione – ha concluso l’esperta – si utilizzano come supporto tessuti trasparenti e anche sufficientemente elastici, come il tulle in nylon, per adattarsi alla forma tridimensionale del corpo.

Il tulle, precedentemente tinto di un colore adeguato, viene posizionato e cucito su se stesso, attraverso una fettuccia di lino, mediante un ago curvo chirurgico. La grande lacuna in corrispondenza del torace viene ulteriormente protetta da un inserto in tela di poliestere per impedire la fuoriuscita dei resti organici.

La mostra “Storie d’Egitto” sarà visitabile gratuitamente dal 16 febbraio 2019 fino al 7 giugno 2020.

Analisi diagnostiche, mummia e reperti

Il progetto “Storie d’Egitto, che coniuga discipline umanistiche e scientifiche con lo studio collezionistico e storico-archeologico, oltre a un articolato programma di diagnostica e manutenzione conservativa dell’intero piccolo nucleo modenese di antichità egiziane, è stato possibile grazie a una rete di collaborazioni istituzionali attivata, dal Museo civico archeologico di Bologna, al Dipartimento di Storia culture e civiltà dell’Ateneo bolognese cattedra di Egittologia, all’Università di Modena e Reggio Emilia, col Dipartimento di Chimica e Scienze della terra e il Polo museale, fino alla Struttura di Radiologia dell’Azienda Ospedaliero- Universitaria di Modena.

Tra le novità emerse grazie al programma diagnostico coordinato da Daniela Picchi, curatrice della sezione egiziana del museo civico archeologico di Bologna, si segnala innanzitutto lo studio antropologico e paleopatologico della mummia di bambino, reso possibile da indagini radiologiche, che ha consentito al paleopatologo Francesco Galassi e all’antropologa Elena Varotto di appurarne il sesso, l’età e le possibili cause della morte precoce: si tratta di un bambino di circa tre anni vissuto in epoca romana fra il I e il II secolo d.C., colpito probabilmente da un’infezione virale compatibile con la meningite. Il processo di imbalsamazione ha comportato la rimozione degli organi interni e nelle cavità corrispondenti sono stati identificati tre pacchetti costituiti da bende e grani di sale circondati da materiale resinoso. Il cervello è stato rimosso per via transnasale. Le alterazioni evidenti all’analisi paleopatologica sono generalmente associate a infezioni (tra cui la meningite), a malattie autoimmuni o a traumi che potrebbero avere determinato la precoce morte del bambino.

Solo il corpo è avvolto da bende e mancano i piedi, probabilmente a causa dei frequenti spostamenti successivi della mummia. Grazie alle datazioni con il radiocarbonio è stato possibile verificare che le bende presenti sul corpo sono contemporanee all’imbalsamazione, mentre quelle in prossimità dei piedi sono risarcimenti ottocenteschi, effettuati evidentemente in occasione di un restauro. Il sarcofago di legno che custodisce la mummia e il cartonnage che la ricopre sono stati realizzati in epoca moderna.

Oltre alla mummia di bambino verranno restaurati anche altri resti umani, alcuni dei quali non saranno esposti in mostra per rispetto della sensibilità del pubblico. Si tratta di teste e arti, uno solo dei quali conserva ancora ancora le bende e apparteneva a un individuo di sesso femminile di più di 20 anni, statura cm 158, vissuto in epoca greco-romana. Anche un altro braccio è attribuibile a una ragazza di più di 20 anni e denuncia una intensa attività manuale. Gli arti inferiori, uno femminile e uno maschile, riportano entrambi tracce di malnutrizione infantile e di artrosi a carico dell’articolazione del piede. L’arto inferiore maschile ha evidenziato, inoltre, un elevato stress meccanico tipico di chi percorreva a piedi lunghe distanze. Una delle teste che saranno esposte apparteneva a un maschio di circa 30 anni. Non sarà invece esposta una testa molto deteriorata, che le analisi radiologiche attribuiscono a un individuo di sesso maschile di più di 45-50 anni, che presenta una lesione da corpo contundente e una ulteriore lesione da fendente nella parte anteriore del collo. L’individuo è stato probabilmente stordito e sgozzato.

La raccolta egiziana dei Musei Civici

La raccolta egiziana dei Musei civici modenesi, consistente in un’ottantina di reperti, si costituì alla fine dell’800, negli anni successivi alla fondazione del Museo. La storia della sua formazione rappresenta un’interessante chiave di lettura museografica dell’epoca e delle modalità di acquisizione dei reperti attraverso acquisti, donazioni e scambi. Dalla frammentarietà delle acquisizioni emerge tuttavia che i direttori del Museo succedutisi nel XIX secolo non perseguirono convintamente l’idea di creare una sezione di egittologia.

Le prime donazioni, da parte di cittadini modenesi tra cui lo stesso fondatore e primo direttore Carlo Boni, risalgono al 1875. Fra gli altri donatori figurano modenesi illustri che contribuiscono in modo rilevante alla formazione di raccolte del Museo, come il marchese Giuseppe Campori e l’astronomo Pietro Tacchini, il quale, recatosi in Egitto nel 1882 per osservare un’eclissi di sole, ricevette in dono una testa di mummia e tre piccoli coccodrilli imbalsamati che inviò poi al Museo modenese. Dagli Atti del Museo risulta inoltre che Boni, attorno al 1880, aveva trattato l’acquisizione di alcuni oggetti con un noto mercante e antiquario francese, Charles Le Beuf. Nell’elenco di antichità offerte dal Le Beuf sono presenti, accanto a materiali etnologici e archeologici, reperti egiziani che in parte si riveleranno falsi.

La mummia e le altre parti umane (arti e teste) appartenenti alla attuale raccolta, provengono dalla Regia Università di Modena, ma la presenza di parte di questi reperti è accertata in città fin dal 1669, anno in cui risultano negli elenchi della “Ducal Galleria Estense”, a testimoniare che ben prima della formazione del Museo civico l’interesse collezionistico dei duchi d’Este comprese anche le antichità egiziane.

La mummia di bambino, in particolare, attestata negli elenchi del 1751, compare insieme a “un corpo imbalsamato; dicesi d’una regina d’Egitto”, della quale, al momento non vi è alcuna traccia. Dopo gli ultimi doni degli eredi di Pietro Tacchini, nel 1906, la raccolta non è più incrementata

I reperti, distribuiti su un ampio arco cronologico, appartengono a categorie diverse, riconducibili alla regalità, al rituale funerario e alla devozionalità templare. Il loro studio è stato affidato a due giovani ricercatori. Beatrice De Faveri e Alessandro Galli, con supervisione di Marco Zecchi, docente di Egittologia all’Università di Bologna.

La collezione conta statuette “ushabti” di Nuovo Regno (XVIII-XX dinastia, 1539-1070 a.C) ed Epoca Tarda (XXVI-XXX dinastia, 664-332 a.C.), sei vasi canopi, tra cui un set a nome di Horsiesi (Epoca tarda), amuleti, bronzetti, terracotte. Di grande interesse, un grande scarabeo commemorativo del sovrano Amenhotep III (Nuovo regno, XVIII dinastia, 1388-1351 a.C.), che celebra la sposa Ty. Presenti, inoltre, una mummia egiziana di bambino con cartonnage e sarcofago antropoide moderni, alcune teste e arti umani, oltre a tre piccoli coccodrilli imbalsamati e ad alcune bende di lino provenienti dalle mummie reali scoperte a Deir el-Bahari nel 1881.

Info online (www.museicivici.modena.it).