Il dott. Rocchi, responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia del Salus Hospital di Reggio Emilia spiega l’ultima frontiera per la rigenerazione dei tessuti cartilaginei.
L’articolazione del ginocchio è spesso interessata dall’artrosi, una patologia dovuta al fenomeno di usura della cartilagine di rivestimento, che vede ridursi il proprio spessore fino alla sua totale scomparsa. Un certo grado di deterioramento delle articolazioni fa parte dei normali processi di invecchiamento, in molti individui, però, tali lesioni progrediscono più rapidamente e in maniera più evidente.
“Queste lesioni – spiega il dott. Rodolfo Rocchi, Responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia del Salus Hospital di Reggio Emilia – venivano considerate un tabù, la loro guarigione si basava soprattutto sul ricorso a interventi e terapie riabilitative che costringevano il paziente a lunghi periodi d’immobilizzazione. Le conoscenze e le competenze maturate negli anni consentono oggi di “aggredire”, in approccio non invasivo, queste lesioni, associando i risultati d’indagini strumentali particolarmente puntuali ed efficaci, vedi la Risonanza Magnetica, a modelli interventistici di ultima generazione”.
“La presunzione di rigenerare in modo perfetto un tessuto, stiamo parlando di cartilagini articolari quindi con precise caratteristiche meccaniche e biochimiche, rimane ancora un obiettivo difficile”, continua il dott. Rocchi. – Attraverso l’adozione di provvedimenti specifici siamo però in grado di riparare, cioè di far “rigenerare”, un tessuto che abbia peculiarità biochimiche e soprattutto meccaniche molto simili alla cartilagine primaria”.
Un esempio è dato dal trapianto delle le cellule impropriamente definite “staminali”, ovvero le cellule mesenchimali (MSC), prelevate dal tessuto adiposo del paziente e capaci di evolvere e trasformarsi in cellule molto più specializzate come quelle cartilaginee. “Queste cellule non devono essere confuse con le cellule staminali ematopoietiche del sangue – specifica il dott. Rocchi. – Si tratta di cellule “multipotenti”, in grado cioè di produrre diversi tipi di cellule specializzate del corpo. Possono ad esempio differenziarsi, o specializzarsi, in cellule della cartilagine (condrociti), cellule ossee (osteoblasti) e cellule del grasso (adipociti). Ciascuna di queste cellule specializzate possiede forma, strutture e funzioni specifiche, ed ognuna appartiene ad un particolare tessuto”.
Il prelievo si effettua con un ago lungo e sottile tramite una microincisione. Il grasso prelevato viene “purificato” dalla componente ematica, che avrebbe un’azione pro-infiammatoria nell’articolazione, attraverso un lavaggio in apposito device, separando le cellule mesenchimali intatte dal prodotto di scarto. Una volta estratte, vengono iniettate nel punto in cui è presente il danno articolare, tendineo o muscolare e qui, grazie ad un meccanismo d’intelligenza biologica, si differenziano in cellule del tessuto ospite e stimolano le cellule circostanti alla autorigenerazione. Il prelievo del tessuto adiposo prevede solo un’anestesia locale mentre la procedura è di tipo ambulatoriale e di breve durata.
“Ovviamente, l’utilizzo delle MSC è una possibilità che deve essere ben vagliata. Se ben utilizzate, permettono di compensare dei danni avvenuti in modo acuto, sub-acuto o cronico in un’articolazione. Ma in un ginocchio, operato di menisco molti anni pima, in cui è evidente un danno da usura quasi artrosico delle cartilagini articolari (danno a specchio), l’ipotesi di riparare è piuttosto remota. In questa circostanza, le cellule mesenchimali possono svolgere un’azione antinfiammatoria, ma non dobbiamo generare false aspettative poiché il rischio è quello di “bruciare” la metodica in quanto inutile in una simile condizione. Perderemmo di affidabilità. La selezione dei pazienti è un aspetto imprescindibile, scegliendo i pazienti abbiamo uno strumento che ci consente, attraverso una chirurgia molto poco invasiva, magari associata ad altre metodiche quando necessario, di compensare la situazione nel tempo, di evitare e rinviare una protesi, di agire su lesioni che fino a qualche anno fa erano la terra di nessuno perché giudicate borderline”, conclude il dott. Rocchi.