Ha suscitato un grande interesse scientifico uno studio condotto da ricercatori delle Università di Bologna, Modena e Reggio Emilia, Siena e Parma che avanza affascinanti e nuove ipotesi sulla mobilità umana a ridosso dell’ultimo massimo glaciale, circa 20.000 anni fa, quando la popolazione tardo pleistocenica, i Gravettiani, che abitavano l’Europa, fu sostituita da quella Epigravettiana.

Nei giorni scorsi questo studio ha ricevuto la dignità di stampa sulla rivista internazionale Nature Ecology and Evolution, primi firmatari il dott. Federico Lugli dell’Università di Bologna e la prof.ssa Anna Cipriani di Unimore.

La transizione dal Gravettiano alle culture più tarde del Paleolitico Superiore risulta essere stato – in base a questo studio – un periodo cruciale in termini di mobilità umana e cambiamento climatico.

“Quella Gravettiana – spiega il prof. Federico Lugli di Unibo – è una cultura umana vissuta tra i 30 e i 20 mila anni fa, poi scomparsa a ridosso dell’ultimo massimo glaciale, un evento climatico di estrema importanza per le dinamiche popolazionistiche dell’Europa tardo Pleistocenica. Tale cultura, viene sostituita da altre più recenti come quella Epigravettiana in Italia e quella Solutreana nella penisola Franco-Iberica”.

“Seppur ancora oggi non sia chiaro quale legame sia intercorso fra la cultura Gravettiana e quelle che l’hanno succeduta, recenti analisi genetiche – continua il prof. Federico Lugli – hanno mostrato correlazioni fra gli Epigravettiani e popolazioni del Vicino Oriente, suggerendo possibili ondate migratorie da Est dopo il picco dell’ultima glaciazione”.

Nel lavoro condotto dai ricercatori italiani sono stati indagati da un punto di vista chimico alcuni denti umani Gravettiani ed Epigravettiani provenienti da un sito pugliese del Paleolitico superiore, Grotta Paglicci. “In particolare, grazie al rapporto isotopico dello stronzio misurato in-situ sullo smalto dentale, – afferma il dott. Federico Lugli di Unibo – è stato possibile osservare differenze di mobilità fra i gruppi umani Gravettiani ed Epigravettiani. Lo stronzio infatti è un componente delle rocce che, grazie all’alterazione superficiale, entra nei suoli e nelle acque e, infine, nella catena alimentare fissandosi nelle ossa e nei denti di animali e uomini. I rapporti tra gli isotopi 86 e 87 dello Sr nei denti e nelle ossa sono quindi direttamente correlati alla zona geologica in cui un individuo ha vissuto”.

Dal lavoro di Lugli e Cipriani è emerso che, mentre i Gravettiani erano perlopiù locali seppur si spingevano lontano dal sito per brevi periodi, forse in cerca di cibo, gli Epigravettiani si spostavano in maniera differente, frequentando ciclicamente zone lontane da Paglicci.

“Il motivo di questa differenza in mobilità – conclude la prof.ssa Anna Cipriani di Unimore – potrebbe essere legato al cambiamento climatico avvenuto tra 33.000 e 18.000 anni fa quando si è passati da un periodo glaciale ad un interglaciale”.

Alternativamente, sulla base delle differenze nell’industria litica fra Gravettiani ed Epigravettiani, le diverse strategie di mobilità potrebbero essere dovute a differenze più radicali, a livello di popolazione. Come suggerito dal DNA, quindi, Gravettiani ed Epigravettiani potrebbero essere identificati – secondo questo studio – come due gruppi distinti con distinte abitudini di vita, tra cui la mobilità.

Lo studio è nato dall’unione sinergica di diverse competenze e discipline, grazie anche a nuove tecniche analitiche portate di recente sul territorio italiano, come l’analisi degli isotopi dello stronzio in-situ, effettuata dal dott. Federico Lugli presso il Centro Interdipartimentale Grandi Strumenti di Unimore. Il lavoro è stato finanziato dal progetto ERC del prof. Stefano Benazzi, focalizzato sulla comprensione della transizione Homo neanderthalensis – Homo sapiens in Italia. Le analisi chimiche ed isotopiche sono state eseguite presso i laboratori dell’Università di Modena e Reggio Emilia, grazie al finanziamento del rientro di cervelli Montalcini della prof.ssa Anna Cipriani.

 

Federico Lugli, PhD

Nato a Carpi (MO) nel 1990, è ricercatore postdoc presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna (Campus di Ravenna). Dopo aver ottenuto una laurea triennale in Beni Culturali e Ambientali (Università di Modena e Reggio Emilia) e una laurea magistrale in Archeologia Preistorica (Università di Ferrara), termina nel 2018 gli studi di dottorato presso il Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche (Università di Modena e Reggio Emilia), specializzandosi in geochimica. I suoi interessi scientifici comprendono l’evoluzione umana, la paleoantropologia, le scienze archeologiche e la geochimica isotopica applicata. In particolare la sua ricerca si occupa di ricostruire dieta e mobilità di uomini e animali vissuti nel passato tramite lo studio isotopico ed elementale di resti ossei e dentali. Attualmente è parte del team di ricerca del prof. Stefano Benazzi, recente vincitore di un progetto ERC, il cui fine è quello di indagare il successo evolutivo di Homo sapiens a discapito del cugino Homo neanderthalensis.

 

Anna Cipriani

E’ professore associato in Geochimica e Vulcanologia presso il Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche di Unimore dal novembre 2015. Si è laureata cum laude in Scienze Geologiche presso l’Università degli Studi di Padova e ha poi conseguito un M.Phil (2004) e il PhD (2007) in Earth and Environmental Sciences presso la Columbia University (USA). Dal 2007 ha svolto le sue ricerche come Postdoctoral Research Scientist presso il Lamont-Doherty Earth Observatory, dove tuttora è Adjunct Associate Research Scientist. Nel 2011 rientra in Italia come ricercatore a tempo determinato con il programma giovani ricercatori Rita Levi Montalcini. E’ specializzata nell’uso della geochimica elementare ed isotopica per spiegare diversi processi geologici che accadono nelle profondità della Terra, ma anche alla sua superficie, attraverso lo studio di xenoliti e di rocce di crosta e mantello affioranti sui fondali oceanici e nei massicci ofiolitici. Più recentemente il suo lavoro si è ampliato ad includere l’applicazione delle tecniche di analisi geochimiche all’archeologia e antropologia per esaminare pattern di mobilità umana.