Nell’Universo primordiale, le galassie massicce erano già molto più mature di quanto si era pensato fino ad oggi. Lo ha dimostrato un team internazionale di astronomi che ha studiato 118 galassie attraverso il radiointerferometro ALMA, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array.

La maggior parte delle galassie si è formata quando l’Universo era ancora molto giovane. La Via Lattea, ad esempio, la galassia in cui ci troviamo, ha iniziato a formarsi probabilmente 13,6 miliardi di anni fa, in un Universo che esiste da 13,8 miliardi di anni. Quando l’universo aveva solo il dieci per cento della sua età attuale (tra 1 e 1,5 miliardi di anni dopo il Big Bang), la maggior parte delle galassie sperimentò però uno “scatto di crescita”. È durante questo secondo periodo, che si è formata la maggior parte della loro massa stellare e altre proprietà, come la polvere cosmica, gli elementi pesanti e le forme a spirale che vediamo nelle galassie odierne. Se vogliamo quindi capire come si sono formate galassie simili alla nostra Via Lattea, è importante studiare la loro evoluzione in quest’epoca lontana.

Attraverso il programma ALPINE (Alma Large Program to Investigate C+ at Early Times), un team internazionale di astronomi ha studiato quindi 118 galassie che si trovavano nel corso di questo “scatto di crescita” nell’Universo primordiale. “Con nostra sorpresa, è emerso che molte delle galassie studiate erano molto più mature di quanto ci aspettassimo“, dice Andreas Faisst dell’Infrared Processing and Analysis Center (IPAC) presso il California Institute of Technology (USA).

Le galassie vengono considerate più “mature” che “primordiali” quando contengono una quantità significativa di polvere cosmica e di elementi pesanti (cioè tutti gli elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio), che sono considerati un sottoprodotto delle stelle morenti. Elementi che gli astronomi non si aspettavano di trovare in grande quantità, perché le galassie che si trovavano nell’Universo primordiale non potevano ancora avuto abbastanza tempo per formare delle stelle.

“Studi realizzati in passato hanno rivelato che queste giovani galassie sono povere di polvere cosmica”, dice Daniel Schaerer dell’Università di Ginevra (Svizzera). “Dalla nostra analisi è emerso però che circa il 20% delle galassie che si sono formate in questa fase ne sono già molto ricche e una frazione significativa della luce ultravioletta emessa dalle stelle appena nate è già nascosta da questa polvere”.

Lo studio dell’enorme quantità di polvere cosmica nell’Universo primordiale è uno dei temi su cui si è concentrato il gruppo ALPINE dell’Università di Bologna. “Le strumentazioni ottiche erano completamente cieche di fronte a questi sistemi, che potrebbero contenere al loro interno la maggior parte della polvere cosmica. Gli astrofisici teorici dovranno ora riformulare alcuni dei loro modelli cosmologici per spiegare le nostre nuove osservazioni”, dice Francesca Pozzi, professoressa al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna.

Molte delle galassie studiate si sono rivelate in effetti relativamente adulte, perché hanno mostrato strutture con un buon livello di diversità, compresi i primi segni di galassie a disco supportate dalla rotazione, che possono successivamente formare galassie con una struttura a spirale (come la nostra Via Lattea). Gli astronomi generalmente si aspettano che le galassie nell’Universo primordiale abbiano forme irregolari perché spesso si scontrano tra loro. “Abbiamo osservato molti esempi di galassie in collisione, ma ne abbiamo viste anche diverse che già ruotano in maniera regolare senza segni di collisioni“, spiega John Silverman del Kavli Institute for the Physics and Mathematics of the Universe (Giappone).

Attraverso il telescopio ALMA è già stato possibile individuare galassie molto distanti, come MAMBO-9 (una galassia molto ricca di polvere cosmica) e Wolfe Disk (una galassia con un disco rotante). Era però difficile sapere con certezza se queste scoperte fossero casi unici o se ci fossero altre galassie simili. Con il programma ALPINE è stato possibile per la prima volta studiare un numero significativo di galassie nell’Universo primordiale, e i risultati hanno mostrato che queste potrebbero evolversi più velocemente del previsto. Rimane però ancora da capire come mai queste galassie siano cresciute così velocemente e perché alcune di loro abbiano già dischi rotanti.

“La dimensione dei campi ALPINE ha permesso di rivelare anche galassie inizialmente non previste dallo studio“, spiega Margherita Talia, ricercatrice dell’Università di Bologna. “Un inatteso e gradito ‘bonus’ per gli scienziati”.

Le osservazioni di ALMA si sono rivelate cruciali per questo studio, perché attraverso questo radiotelescopio è possibile osservare la nascita delle stelle anche se queste sono nascoste dalla polvere cosmica, ed è possibile tracciare il movimento del gas emesso dalle regioni in cui le stelle si formano. Le indagini sulle galassie nell’Universo primordiale usano comunemente telescopi ottici e a infrarossi. Questi strumenti consentono di analizzare la formazione delle stelle non oscurate dalla polvere cosmica e di misurare le loro masse. Hanno però difficoltà a misurare le regioni oscurate dalla polvere, dove nascono le stelle, o i movimenti dei gas all’interno delle galassie. E ci sono alcune galassie che non riescono a vedere. “Con ALMA abbiamo scoperto per la prima volta alcune galassie lontane. Le chiamiamo ‘Hubble-dark‘, perché non nemmeno il telescopio Hubble riesce a vederle”, dice Lin Yan di Caltech (USA).

“Lo studio delle galassie con emissione di riga rivelate ‘fortuitamente’ nei campi ALPINE, condotto da Federica Loiacono – studentessa di dottorato presso l’Alma Mater di Bologna – mostra un eccesso di sorgenti ad alte luminosità rispetto a quanto osservato nell’Universo locale, suggerendo un’evoluzione col tempo cosmico del numero di galassie brillanti”, aggiunge Andrea Cimatti, professore dell’Università di Bologna.

Per scoprire altri dettagli sulle galassie lontane, gli astronomi vogliono ora puntare ALMA verso le singole galassie per periodi di tempo più lunghi. “Vogliamo vedere esattamente dove si trova la polvere cosmica e come si muove il gas. Vogliamo anche confrontare le galassie più ricche di polvere con altre che si trovano alla stessa distanza, per capire se questa differenza derivi da caratteristiche particolari”, aggiunge Paolo Cassata dell’Università di Padova, già alla Universidad de Valparaíso (Cile).

ALPINE è il primo e il più grande progetto “multi-lunghezza d’onda” sulle galassie nell’Universo primordiale. Per un ampio campione di galassie, il team ha raccolto misurazioni ottiche (con i telescopi Subaru, VISTA, Hubble, Keck e VLT), ad infrarossi (Spitzer) e radio (ALMA). Saranno necessari ulteriori studi a più lunghezze d’onda per avere un quadro completo di come si sono formate le galassie. “Un’indagine così ampia e complessa è possibile solo grazie alla collaborazione tra più istituti in tutto il mondo”, dice in conclusione Matthieu Béthermin del Laboratoire d’Astrophysique de Marseille (Francia).

A questa pagina è disponibile un elenco delle pubblicazioni prodotte nell’ambito del ALPINE, compresi otto paper pubblicato oggi su una special issue della rivista Astronomy & Astrophysics: http://alpine.ipac.caltech.edu/#publications.

Tutti i paper realizzati nell’ambito del progetto ALPINE sono dedicati alla memoria di Olivier Le Fèvre, Principal Investigator di ALPINE.

Per maggiori informazioni: https://public.nrao.edu/news/galaxies-in-the-infant-universe-were-surprisingly-mature/.

 

Didascalia immagine:

Illustrazione artistica di una galassia lontana, in rotazione e ricca di polvere cosmica.

(Credit: B. Saxton NRAO / AUI / NSF, ESO, NASA / STScI; NAOJ / Subaru)