Dopo i danneggiamenti di marzo 2020 nel carcere di Sant’Anna, “non ancora del tutto agibile, sono in corso importanti interventi edili e si è concluso il ripristino dei principali impianti elettrici e idraulici, collaudati di recente”, con l’obiettivo di riportare la struttura al 100%; sono in corso, inoltre, importanti lavori per migliorare i livelli di sicurezza della struttura stessa. Lo ha spiegato il sindaco Gian Carlo Muzzarelli rispondendo, grazie alle informazioni fornite dalla direzione della Casa circondariale che dipende direttamente dal Ministero della Giustizia, a un’interrogazione di Vincenzo Walter Stella (Sinistra per Modena) nella seduta di giovedì 29 aprile del Consiglio comunale di Modena.

L’istanza, in particolare, chiedeva un aggiornamento sulle condizioni, in termini di agibilità, dell’istituto penitenziario a un anno dalla rivolta dei reclusi. Inoltre, il consigliere domandava informazioni sugli sviluppi giudiziari della vicenda, sul numero di detenuti presenti nella casa circondariale e sulle visite dei familiari, anche in relazione alle restrizioni connesse all’emergenza Covid; sull’organico e sulle figure a supporto dei detenuti presente nella struttura; sui percorsi sviluppati nel carcere, a partire da quelli di inserimento sociale e lavorativo a favore dei detenuti, e sulle attività di volontariato, sportive e formative.
Precisando innanzitutto che l’indagine giudiziaria sulla rivolta “è ancora in corso” e non potendo perciò fornire informazioni in merito nell’attesa dell’esito dell’iter della magistratura, il sindaco Muzzarelli ha spiegato che, in occasione della rivolta, l’istituto è stato “seriamente danneggiato” e che prima di renderlo completamente operativo “devono essere risolte importanti carenze strutturali e criticità che incidono sia sulla sicurezza sia sui servizi e sul trattamento dei detenuti”. Oltre agli interventi principali, infatti, sono stati eseguiti lavori per l’innalzamento dei livelli di sicurezza (sistema di videosorveglianza nei complessi detentivi, ripristino dell’impianto d’illuminazione interno ed esterno al muro, installazione di grate metalliche nei posti di servizio); il prossimo passo sarà l’installazione dell’impianto antiscavalcamento e antitrusione (lavori già assegnati) e l’automazione di porte e cancelli in alcune aree. Inoltre, per quanto riguarda i servizi per i reclusi, dovrà essere completato “il rifacimento della copertura dei tetti di alcune parti della struttura, per rendere agibili cucina principale, cappella, sala teatro, palestra e magazzino”.
Alla data del 26 aprile nel carcere erano presenti 303 detenuti, di cui 24 donne, e, come comunicato dalla direzione della struttura, con cui la collaborazione istituzionale “è continua e positiva”, ha sottolineato il sindaco, nell’istituto “le condizioni sanitarie sono soddisfacenti e incentrate a contrastare la diffusione del Covid”, aggiungendo che “le visite dei familiari sono consentite con le modalità e le misure precauzionali anti-contagio”. Sempre in ambito sanitario, l’Ausl “svolge nel carcere un servizio di promozione e tutela della salute h24”. Nel dettaglio, a Sant’Anna sono operativi otto medici dell’assistenza primaria, 13 infermieri, tre psicologi, due psichiatri, due tossicologi e quattro tecnici di riabilitazione psichiatrica, oltre agli specialisti che intervengono a cadenza regolare e all’attività dei servizi Sert e di Salute mentale.
Per quanto riguarda l’organico impiegato nell’istituto, si registra, “in linea con la situazione nazionale”, una mancanza di personale rispetto alle piante organiche. In particolare, infatti, gli agenti di polizia penitenziaria presenti sono 227 (anziché 257) e il personale del Comparto funzioni centrali conta 11 operatori anziché 22; gli educatori presenti sono quattro (su cinque), con due psicologi preposti all’osservazione e trattamento.
Parlando dei detenuti, il Covid ha rallentato i percorsi di inserimento sociale e lavorativo all’esterno, “come i lavori di pubblica utilità svolti alla biblioteca Delfini e per il Comune di Sassuolo”, mentre 12 soggetti semiliberi lavorano in aziende sul territorio, grazie a licenze straordinarie, e per l’Amministrazione penitenziaria. All’interno della struttura, invece, non si sono verificati stop alle attività destinate ai reclusi, come quelle scolastiche proseguite regolarmente, sia in presenza sia a distanza. Attualmente l’organizzazione didattica prevede quattro corsi di alfabetizzazione ed ex scuola media per le sezioni maschili e un corso per la sezione femminile; sei corsi di istituto professionale e tre periodi didattici per ciascuna categoria di detenuti. Sulla formazione, inoltre, nei mesi scorsi sono stati avviati diversi colloqui di orientamento al lavoro e a breve partiranno due corsi, teorici con tirocinio, sull’agricoltura biologica e l’apicoltura e sulla sartoria. Nella sezione femminile, infine, di recente è stato presentato il progetto “T-essere: da donna a donna”, finanziato dalla Chiesa Valdese e proposto dal Centro documentazione donna, in collaborazione con associazione Casa delle donne contro la violenza, Gruppo Carcere città e associazione Donne nel mondo, per promuovere azioni di relazioni e conoscenza che favoriscano l’inclusione e il reinserimento delle detenute.

IL DIBATTITO IN CONSIGLIO COMUNALE

Dopo la trasformazione in interpellanza dell’interrogazione del consigliere Stella (Sinistra per Modena), Barbara Moretti, per Lega Modena, ha richiamato la visita al carcere del proprio gruppo “per constatare le condizioni del ripristino”, mettendo in evidenza “l’angoscia ancora presente negli agenti e negli operatori che furono presi in ostaggio: ci vuole una vocazione particolare per approcciarsi alle persone in condizioni di restrizioni di libertà. Per loro la riabilitazione è fondamentale, ma gli operatori devono essere messi in condizione di lavorare. È giusto – ha concluso – considerare il carcere come parte integrante della nostra città e non come un corpo estraneo”. Giovanni Bertoldi ha auspicato che “tutte le condizioni di sicurezza, anche dell’edificio, siano ripristinate rapidamente per migliorare la qualità della vita sia dei detenuti sia delle persone che in carcere lavorano, anche per poter riportare vicino alle loro famiglie i detenuti che sono stati trasferiti”.

Vittorio Reggiani (Pd) ha affermato che il carcere, la sua struttura e la sua organizzazione “sono competenza dello Stato”. Ma il carcere “ci interroga, come amministrazione, per il reinserimento che la città deve offrire: una volta usciti, i detenuti sono cittadini come tutti gli altri e noi dobbiamo chiederci se i servizi sociali, formativi, abitativi che offriamo loro sono gli stessi che offriamo agli altri cittadini”.

Camilla Scarpa (Sinistra per Modena) ha sostenuto la necessità “di una riflessione politica che è stata assente nell’anno trascorso dai fatti: la politica, infatti, tende troppo spesso non occuparsi delle carceri e delle condizioni in cui vi si vive. Non si può – ha proseguito – ignorare le responsabilità politiche rispetto al fatto che le carceri sono sovraffollate e che non sia assegnato il personale necessario dell’area educativa”. La consigliera ha concluso che il tema centrale è domandarsi “se il carcere debba avere una funzione solo punitiva o se si recupera la funzione rieducativa prescritta dalla Costituzione”

Giovanni Silingardi (M5s) ha concordato sul fatto che “la politica ha mancato molti degli obiettivi imposti dalla Costituzione: il carcere è impostato sul modello della sorveglianza permanente che però non funziona, come dimostrano anche i tassi di recidività altissimi. Uno Stato che vuole risolvere il problema deve decidere di metterci delle risorse. Poi, il Comune può ragionare su cosa possono fare le istituzioni locali per favorire il reinserimento”. Enrica Manenti (M5s), ricordando di aver visitato il carcere dopo la rivolta, ha sottolineato la “devastazione” ma anche “gli sforzi degli operatori e dei volontari per mettere i detenuti nelle condizioni di fare qualcosa per il reinserimento, anche se i detenuti che poi riescono a trovare un lavoro sono pochi”, affermando di “avere particolarmente a cuore la situazione nonostante il ruolo dell’amministrazione sia limitato”.

In replica, il consigliere Stella ha sottolineato che l’obiettivo dell’interrogazione era “tenere aperto il dibattito su un luogo importante della città e accendere i riflettori sul rapporto tra il carcere e la città: il Sant’Anna non deve diventare un corpo estraneo rispetto a Modena”. Il consigliere ha concluso affermano che la funzione dell’istituto penitenziario “non deve essere solo punitiva ma deve avere obiettivi di integrazione, inclusione, educazione, formazione e inserimento lavorativo in modo che i detenuti, una volta rientrati nella società, possano migliorare le proprie condizioni”.