Credito immagine: Roberto Brancolini

Come nascono le situazioni di criticità all’interno dei fenomeni di aggregazione giovanile? Come favorire il valore della legalità tra le fasce più giovani della popolazione? Quali sono i soggetti pubblici e privati che possono sviluppare sinergie per contrastare situazioni di disagio? Perché la definizione di “baby gang” non è corretta?

Sono solo alcuni dei temi al centro dell’appuntamento di mercoledì 29 novembre alla Tenda di viale Kosica, a Modena, dove viene sviluppato un approfondimento territoriale della ricerca “Bande giovanili di strada in Emilia-Romagna tra marginalità, devianza e insicurezza urbana”; l’indagine di respiro regionale analizza i comportamenti giovanili di gruppo negli spazi pubblici offrendo approfondimenti di tipo qualitativo anche sul contesto modenese e delineando possibili linee di lavoro per creare un sistema di governance e di azioni significative per affrontare i diversi aspetti del disagio giovanile.
Durante l’iniziativa, inoltre, vengono illustrati i risultati di un questionario con cui nelle settimane scorse sono state rilevate le opinioni e le percezioni di circa 300 giovani modenesi sul fenomeno; il sondaggio, di carattere anonimo, è stato somministrato da operatori del servizio di educativa di strada col supporto di una psicologa, in contesti informali e centri di aggregazione.
L’appuntamento rappresenta “un momento di valore per la nostra comunità – commenta l’assessore alle Politiche giovanili Andrea Bortolamasi – un confronto di qualità in cui l’ascolto e il confronto incontrano strumenti ‘nuovi’ con l’obiettivo di continuare a perseguire un intento comune: rispondere ai bisogni delle generazioni più giovani, per renderli sempre più coinvolti e soprattutto partecipi nelle scelte e nelle politiche della Modena di oggi e della città di domani”. Entrando poi nel merito delle valutazioni dell’indagine, l’assessore sottolinea che “dal documento emerge l’importanza di sviluppare azioni importanti come la cura delle relazioni e la presa in carico delle figure più fragili, percorsi peraltro già avviati da tempo anche dall’Amministrazione comunale di Modena, per non lasciare indietro nessuno. Ma non solo: la ricerca – aggiunge ancora Bortolamasi – offre pure nuovi stimoli e nuove proposte che rappresentano elementi di grande riflessione per il nostro Comune e per la nostra comunità, da tenere certamente in considerazione per una città che cambia e che non intende venir meno alla capacità consolidata di offrire opportunità per tutte e tutti”. In questo ambito, conclude l’assessore, si collocano anche gli spunti “sugli spazi pubblici, intesi come luoghi che devono accogliere e non ‘escludere’: parchi, luoghi di aggregazione informale, spazi culturali, spazi che offrono servizi come, per esempio, le biblioteche decentrate. L’idea di città che abbiamo, e che stiamo costruendo, non può prescindere da questo orientamento dove la socialità è legata all’inclusione”.
La ricerca nasce anche su input del Comune di Modena: in accordo con la Regione Emilia-Romagna e le Amministrazioni comunali di Reggio Emilia e Parma, è stata avviata una discussione partecipata con l’obiettivo non solo di definire con maggior esattezza il fenomeno, ma anche di ripensare le strategie di gestione dello spazio pubblico per concedere più attenzione a gruppi di soggetti che richiedono visibilità. In questo contesto si inserisce, quindi, l’indagine, finanziata dalla Regione con fondi rientranti nell’Accordo di programma quadro in materia di Politiche giovanili “Geco 11 – Giovani evoluti e consapevoli” e “Geco 11-bis”.
L’approccio dell’approfondimento, curato per conto della Regione da Rossella Selmini e Stefania Crocitti, ricercatrici del dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Bologna, è integrato e offre un punto di vista ampio, senza sottostimare il problema e proponendo alcune azioni e strumenti utili a contrastare il fenomeno. La settimana scorsa il documento è stato presentato in una seduta delle commissioni consiliari Servizi e Risorse, riunite in maniera congiunta.

TRA I RELATORI ANCHE IL SINDACO E LA PREFETTA

Comincia alle ore 9.30 per concludersi alle 12.30 l’incontro di mercoledì 29 novembre alla Tenda, incentrato sui fenomeni del disagio giovanile. L’appuntamento nella struttura comunale di viale Monte Kosica è pensato principalmente per gli operatori del settore, anche per offrire un’occasione di confronto, ma è aperto a tutti, previa iscrizione sul sito www.comune.modena.it/informagiovani.

L’iniziativa si apre con i saluti istituzionali del sindaco Gian Carlo Muzzarelli e della prefetta di Modena Alessandra Camporota. Alle ore 9.45 Marina Mengozzi, funzionaria del settore Politiche giovanili della Regione Emilia-Romagna, interviene sull’argomento “Il Fondo nazionale politiche giovanili e l’azione di sistema sul disagio giovanile”. Alle 10 entra nel vivo il tema della ricerca “Bande giovanili di strada in Emilia-Romagna tra marginalità, devianza e insicurezza urbana”: Giovanna Rondinone, responsabile dell’Ufficio sport e giovani del Comune, contestualizza il percorso dell’indagine e un quarto d’ora più tardi, alle 10.15, la ricercatrice e docente dell’Università di Bologna Stefania Crocitti, una delle due curatrici, ne illustra l’approfondimento territoriale su Modena.

Alle 11 Marianna De Luca, della cooperativa Caleidos, offre il punto di vista degli operatori di educativa di strada, seguita alle 11.15 dal momento di discussione aperta ai presenti, compresi gli interventi del pubblico. Alle 12.15 sono in programma le conclusioni, affidate all’assessore alle Politiche giovanili Andrea Bortolamasi; al termine dell’intervento è prevista la fase di networking che conclude la mattinata.

Ulteriori informazioni al telefono (059 2032961) e via posta elettronica (morena.luppi@comune.modena.it).

RAGAZZI CON FRAGILITÀ FAMILIARI ED ECONOMICHE

Vivono in contesti di fragilità famigliare – spesso con l’assenza di una figura genitoriale autorevole – ed economica; agiscono nei centri storici; sono soprattutto minori e colpiscono principalmente giovani come loro. Sono alcune tra le caratteristiche principali che definiscono il profilo dei ragazzi che fanno parte di queste aggregazioni. Questo, infatti, è l’“identikit” che emerge dalla ricerca “Bande giovanili di strada in Emilia-Romagna tra marginalità, devianza e insicurezza urbana”, già presentata nei mesi scorsi anche in Regione, nel corso di una seduta della commissione Cultura.

Entrando nel dettaglio, dall’indagine, che offre dati aggregati a livello regionale, si apprende che la maggior parte degli episodi analizzati sono avvenuti nei comuni capoluogo, con una prevalenza, all’interno dei singoli contesti territoriali, nelle zone centrali delle città. Ipotizzando un minore utilizzo degli spazi urbani nei mesi invernali, la ricerca restituisce una presenza dei gruppi che, invece, non si concentra nel periodo estivo: il 32 % degli episodi si sono verificati nei mesi da giugno ad agosto e il 68 % è distribuito nei restanti mesi dell’anno. Dagli episodi rilevati emerge l’immagine di gruppi la cui numerosità conta per lo più da 4 a 6 giovani (40 %). Nella quasi totalità dei casi si registra il coinvolgimento di un numero di giovani superiore a 7 (45 %) e il numero dipende dal fatto che si tratta di scontri fra gruppi.

I gruppi sono quasi esclusivamente maschili (77 %) con una componente minoritaria della partecipazione femminile che connota i gruppi “misti” (23 %) e sono composte da ragazzi per lo più in età preadolescenziale: il 40% degli episodi riguarda giovani tra i 14 e i 17 anni, a cui si può aggiungere il 25% di casi in cui il dettaglio sull’età non era specificato ma si identificavano i ragazzi come “minorenni”. I gruppi di soli maggiorenni costituiscono il 15 % e il 20 % presenta, in relazione all’età, una composizione “mista” con meno e con più di 18 anni.

In maggioranza, gli episodi raccontano di gruppi “stranieri” (60 %), anche se questa informazione incontra il limite che le seconde o terze generazioni di minorenni non hanno acquisito la cittadinanza italiana: “Gli stranieri – spiegano le curatrici dell’indagine – possono, dunque, essere sovra-rappresentati. Inoltre, in alcune notizie la nazionalità veniva identificata a partire dai racconti delle vittime e, quindi, in considerazione dei tratti somatici dei giovani autori dei fatti”. Le bande con nazionalità “mista” costituiscono il 28% del campione e la presenza di gruppi composti interamente da italiani è pari al 12%.

Le vittime sono anche loro principalmente maschi (87 %) e coetanei di chi li aggredisce. Il 42 %, infatti, ha un’età compresa tra i 14 e i 17 anni, cui si possono aggiungere il 13 % di minori di 13 anni e l’11% di “minorenni” così definiti dalla stampa senza ulteriori indicazioni d’età. I maggiorenni vittime delle azioni delle bande rappresentano il 29% del campione analizzato e nel 5% si tratta di vittime sia maggiori sia under18. Diversamente da quanto rilevato in merito alla nazionalità prevalentemente straniera dei componenti dei gruppi, le vittime sono soprattutto italiane (77 %) e, in misura minore, straniere (23 %). Gli articoli fanno riferimento a una conoscenza tra autori e vittime nel 5 % circa dei casi.

Nel 49% dei casi i reati compiuti sono contro il patrimonio, nel 25 % contro la persona e solo nel 14 % si tratta di risse. Il residuale 10 %, categorizzato come “altro”, comprende due casi di spaccio e detenzione di stupefacenti, un caso di porto abusivo di armi, un caso di violenza su animali e un caso di incendio. “La differenza di nazionalità tra autori e vittime (che, si ricordi, nella maggior parte dei casi sono coetanei) e i tipi di reati consentono di avanzare un’ipotesi esplicativa delle tipologie di reato. Nella metà degli episodi, infatti, gli illeciti sono commessi per impossessarsi di beni materiali e, in particolare, per acquisire dai loro coetanei italiani quei beni (non solo il denaro ma anche cellulari, indumenti e scarpe alla moda) che i ragazzi ‘stranieri’ non possiedono”, evidenziano curatrici dell’approfondimento.

COINVOLGIMENTO, SPAZI PUBBLICI E INCLUSIONE

Oltre a rilevare la complessità del fenomeno, la ricerca “Bande giovanili di strada in Emilia-Romagna tra marginalità, devianza e insicurezza urbana” suggerisce anche alcune soluzioni, offrendo tre spunti.

La prima proposta scaturisce dal fatto che l’indagine restituisce la natura fluida e la diversità delle aggregazioni giovanili, la maggior parte delle quali non può essere definita come “banda giovanile”, perché mancano i tratti tipici di questi gruppi (struttura organizzata, territorialità e coinvolgimento sistematico in attività criminali). Di conseguenza “la scelta della risposta di tipo punitivo è da evitare”, secondo le relatrici. L’approccio punitivo sia con condanne pesanti sia attraverso l’uso di misure amministrative punitive, come i ‘daspo urbani’, se pur necessario nei casi più gravi, “andrebbe ridotto il più possibile per evitare che, nel lungo termine, la violenza potenziale di alcuni di questi gruppi si estenda”. Le istituzioni sono invitate, quindi, a sperimentare percorsi di mediazione penale, coinvolgendo le agenzie che si occupano di giustizia riparativa, in modo che possano approntare servizi appropriati e mirati.

La ricerca evidenzia, inoltre, il ruolo determinante della stampa “nel dare visibilità, spesso in maniera del tutto non coerente col fenomeno”. L’inquadramento mediatico del problema abuserebbe della definizione ‘baby-gang’, “contribuendo creare un clima sociale di intolleranza verso il problema, senza aiutare a comprenderlo”. La ricerca suggerisce perciò alla Regione di coinvolgere le testate giornalistiche locali un’iniziativa seminariale, per una discussione e una riflessione sul fenomeno, anche alla luce dei dati dell’indagine.

La terza proposta, la più articolata, invita le istituzioni locali a costruire percorsi complessi orientati alla prevenzione del fenomeno. In particolare, l’indagine suggerisce innanzi tutto di formare operatori specializzati a cui affidare la progettazione e la gestione di progetti rivolti ai gruppi giovanili. In parallelo, si propone di individuare luoghi dove i ragazzi possano avere visibilità e possibilità di esprimere sensazioni di non appartenenza. “Questi gruppi – si legge nel documento – cercano spazio e visibilità ma non sono ben accolti, perché sono rumorosi, disturbano, provocano. C’è tuttavia qualcosa di simbolico nel ritrovarsi in un centro commerciale o nell’‘invadere’ i centro storici: sono i luoghi del consumo per eccellenza e delle opportunità, da cui molti dei giovani di queste aggregazioni si sentono esclusi, ma di cui vogliono essere parte”.

La ricerca suggerisce poi di avviare progetti che “rispondano al bisogno di inclusione e di protagonismo di questi ragazzi – osserva il documento – e che partano dai loro interessi: in primo luogo la musica e il web. Il sostegno alla produzione di progetti musicali e culturali propri, per esempio, o il recupero di attività sportive gestite in autonomia”. Secondo le curatrici, poi, un intervento specifico va rivolto ai minori immigrati, sia quando si tratta di gruppi su base etnica sia misti, sollecitando un intervento per risolvere la situazione di “parcheggio” dei minori stranieri non accompagnati nei centri di accoglienza, perché “potenzialmente rischiosa per il coinvolgimento in attività devianti o criminali”.

Infine, si auspicano interventi a livello del sistema educativo, non solo sul fronte della formazione degli insegnanti, ma soprattutto organizzando iniziative con gli studenti, che possano “sottolineare l’importanza della socialità giovanile e la sua differenza rispetto a fenomeni criminali”, rilevano le relatrici.