Si è tenuta questa mattina al 12° piano dell’Ospedale Maggiore la consegna dell’assegno del valore di 2.350 euro, esito di una raccolta fondi con cui la famiglia di Manuele ha voluto ringraziare i professionisti che si sono presi cura del giovane, scomparso prematuramente.

Un momento di ricordo, condiviso da amici e camici bianchi che hanno conosciuto e sono stati accanto a Manuele durante il suo lungo periodo di malattia, che nell’atrio del reparto di Terapia intensiva si sono riabbracciati, ricordando la forza e il coraggio con cui il ragazzo ha lottato per la vita fin dalla diagnosi della malattia, avvenuta all’età di soli 15 anni.

“Io faccio la contabile e so cosa significa andare a lavorare per poi staccare la sera e tornare a casa in famiglia, libera dai pensieri. Non è però così per tutti questi professionisti che hanno accolto, sostenuto e accompagnato per ben due mesi Manuele, me e mia mamma, qui, in Terapia intensiva. Loro lottano costantemente per la vita altrui e quando terminano il proprio turno di lavoro sono certa che portino a casa con sé anche degli stralci dei nostri vissuti”. Ha esordito così, con commozione e gratitudine, Sara Marchesini, sorella di Manuele, alla consegna dell’assegno, avvenuta alla presenza dei sanitari del reparto di Terapia intensiva, nonché dei medici e degli infermieri della Dialisi sono stati al fianco del giovane durante le terapie salvavita.

I fondi donati sono il frutto di un evento benefico organizzato dalla famiglia, insieme ai più grandi amici di Manuele, in collaborazione con AIDO e il Comune di Anzola Emilia, il 20 gennaio scorso, data in cui Manuele avrebbe compiuto 43 anni.

“Qui, in questo ospedale, è stato fatto tutto e di più di tutto. Non doveva finire così, ma possiamo solo essere grati ai professionisti dell’ospedale Maggiore per tutta la competenza e l’umanità che hanno messo in campo per Manuele, supportando me e mia mamma in ogni fase della sua lunga malattia”.

Le parole di Sara Marchesini sono interrotte da un applauso ricco di commozione che si riflette negli sguardi di amici e professionisti che sono stati al fianco di Manuele.

“Non sempre tutto il possibile è abbastanza per salvare la vita di un paziente. Quando ero un giovane medico pensavo che il mio lavoro sarebbe consistito nel salvare vite umane. Con il passare degli anni ho compreso che l’obiettivo principale doveva essere curare: ascoltare, piangere, vivere anche gli ultimi attimi di lotta per la vita accanto ai pazienti. Questo è ciò che io e tutta l’equipe medico-infermieristica che rappresento, abbiamo provato a fare stando accanto a Manuele” interviene Nicola Cilloni, Direttore della Terapia intensiva dell’Ospedale Maggiore. “Sapere che tutto questo venga percepito dai famigliari e ci sia addirittura chi voglia prendersi cura di noi e del nostro carico emotivo, come uomini ancor prima che sanitari, ci gratifica molto e ci porta a continuare sulla strada dell’umanizzazione delle cure. La storia di Manuele è stata particolarmente sentita da tutti poiché, a differenza della quasi totalità dei pazienti normalmente degenti in Terapia intensiva, lui è stato praticamente quasi sempre cosciente e inevitabilmente – aggiungerei fortunatamente – si era creato un importante legame con tutti gli operatori. Sapevamo sin dall’inizio che la malattia di Manuele era evolutiva ed il suo cuore, oramai provato, rispondeva sempre meno alle cure. Nonostante tutto, abbiamo lottato fino all’ultimo con lui senza mai arrenderci, anche quando la strada si capiva essere sempre più in salita. Ogni giorno con il sorriso sulla faccia, la grinta e la voglia di vivere. Lo abbiamo fatto perché lo faceva lui che sapeva bene che la sfida che stava affrontando non poteva essere vinta. Questo ci hai insegnato, e questo ci rimarrà. Grazie Manuele”.

Il Direttore della Terapia intensiva lascia la parola a Giuseppe Morandi, infermiere della Dialisi che conobbe Manuele poco più che 20enne: “Come infermiere del centro dialisi mi preme ricordare Manuele per quello che ci ha lasciato. Noi infermieri viviamo quasi delle vite intere accanto ai nostri pazienti e in tutto questo tempo loro diventano per noi degli amici, così come noi per loro una specie di famigliari. Quello che ricordo di Manuele è la scelta di condurre una vita il più possibile simile a quella dei suoi coetanei, di mantenere le sue abitudini, talvolta rinunciando consapevolmente allo stile di vita ideale per un paziente in trattamento dialitico, ma veramente difficile da sostenere a lungo termine per un ragazzo della sua età. Non è facile raccontare in poche parole un percorso lungo 17 anni ricco di difficoltà e sofferenza, ma anche di speranza e tanti sorrisi: ricordo le nostre conversazioni sui motori e gli sfottò sulla differente fede calcistica, proprio come si fa tra amici. Per me, ma per tutto il gruppo infermieristico Manuele rimane il ragazzo che abbiamo visto crescere, e noi con lui. Il paziente con cui abbiamo condiviso il percorso di cura e discusso quando era in difficoltà con l’aderenza al trattamento, ma soprattutto era il ragazzo a cui non potevi non volere bene e a cui va riconosciuta la forza di lottare e andare avanti anche quando lungo la strada si incontravano nuovi ostacoli”.

 

Il percorso clinico di Manuele

 Manuele si era ammalato quando era ancora adolescente: all’età di soli 15 anni gli venne diagnosticata una patologia autoimmune che aveva colpito i reni (glomerulonefrite membrano proliferativa). Qualche anno dopo la diagnosi, la madre gli donò un rene, ma sfortunatamente nell’arco di poco tempo il suo fisico rigettò l’organo che era stato trapiantato. Il quadro clinico del giovane divenne sempre più compromesso, comportando anche problemi cardiocircolatori. Manuele iniziò dunque la Dialisi che ha svolto per gli ultimi 20 anni presso l’ospedale Maggiore. Seppur giovane e coraggioso, si trattava di un paziente fragile, soggetto a ripetute infezioni e complicanze. Gli ultimi due mesi della sua vita Manuele li ha vissuti in Terapia intensiva.