Per il presidente Manghi è giusto e doveroso sottolineare la “coerenza rispetto agli impegni assunti all’indomani di una inchiesta che ha avuto un effetto indubitabilmente fragoroso, anche se abbiamo l’umiltà per riconoscere che non abbiamo risolto tutti i problemi”.

“Ma questo non significa nemmeno non avere fatto nulla – ha aggiunto –  Siamo in cammino e dobbiamo continuare a schiena dritta essendo consapevoli di avere una dignità, la dignità che dobbiamo consegnare alle nostre comunità che rappresentiamo pro tempore e che nella tutela dell’integrità morale devono trovare il primo punto di riferimento ineludibile. Lavoro da fare ne abbiamo ancora, ma possiamo occuparcene con quella pulizia etica e morale che fa la differenza e che diventa l’elemento di rassicurazione per chi ci guarda e attende da noi delle risposte”.

Ma nel primo bilancio tracciato dal presidente della Provincia ci sono anche alcuni “dati di fatto che dobbiamo tenere sempre presenti e proteggere dai pericoli di una narrazione disarticolata che non condivido e da ritornelli che pervadono l’immaginario collettivo e rischiano di diventare verità: il primo è che  questo processo lo abbiamo voluto qui, anche se rischiava di svolgersi altrove, e si sta celebrando qui grazie alle risorse pubbliche in particolare di Comune e Regione: e se si vuole il processo qui è perché non si vuole nascondere nulla, anzi è il contrario tanto che alle udienze  si portano le scuole e tutti i cittadini possono assistere”.  “Né dobbiamo sottacere che vi è un solo caso di persona eletta che è coinvolta nella vicenda giudiziaria, e questo significa che l’anti-Stato rappresentato dalla ‘ndrangheta è stato respinto da quelle istituzioni che collaboratori di giustizia tentano reiteratamente di tirare in ballo, in una deprecabile giostra che investe anche la dimensione umana di persone ingiustamente e immotivatamente chiamate in causa”, ha concluso Manghi.

Dopo il saluto del prefetto Maria Forte – che ha tra l’altro sottolineato “la centralità  della reazione della società civile quale forma di contrasto primario al pericolo delle infiltrazioni mafiose e di affermazione della legalità” – l’avvocato Salvatore Tesoriero ha illustrato le “ragioni profonde che hanno sostenuto la scelta della Provincia e dei Comuni reggiani di costituirsi parte civile in questa complessa vicenda che vede oltre 250 imputati e almeno 4 procedimenti aperti, oltre a un giudizio abbreviato già conclusosi nella sua fase di merito pieno, anche se nell’immaginario collettivo il processo Aemilia è unicamente quello che si celebra qui a Reggio, in un’aula  che dà anche plasticamente  l’idea della eccezionalità di un dibattimento che ha già avuto 92 udienze quest’anno e ne ha fissate un’altra cinquantina per il 2018”. “La costituzione di parte civile degli enti locali, che non era affatto scontata, è stata ancora più importante perché solo 5 delle 76 parti lese private si sono costituite, a conferma di quanto l’infiltrazione malavitosa abbia operato in maniera profonda – ha aggiunto – Dove i singoli hanno paura di arrivare, arriveranno dunque i ben 29 tra enti locali, associazioni e varie articolazioni dello Stato costituitisi parte civile”.

Per quanto riguarda nello specifico l’azione intrapresa dalla Provincia di Reggio e dai Comuni di Bibbiano, Brescello, Gualtieri, Montecchio e Reggiolo, “stiamo rivendicando qualcosa di più e di diverso di una comune richiesta di risarcimento civilistico del danno – ha aggiunto – Prima ancora di un danno di immagine comunque impressionante, chiediamo di essere risarciti per il danno provocato ai valori di questa terra, a partire dai principi di trasparenza e solidarietà citati nell’articolo 5 dello Statuto della Provincia”.

L’avvocato Federico Fischer, che segue in particolare i Comuni di Brescello e Montecchio, ha infine evidenziato l’apparente paradosso “tra i ben 20 reati di scopo che sarebbero stati commessi a Montecchio – truffe, estorsioni, armi, incendi –  e i soli 2 capi di imputazione, per altri minori, collegabili a Brescello, primo e finora unico Comune emiliano sciolto per mafia”. “Questo conferma non solo che laddove l’infiltrazione è più profonda, minori sono le condotte delittuose o efferate, ma anche che un ente pubblico che sicuramente è stato infiltrato, ha comunque mostrato tutti quegli anticorpi che la pubblica amministrazione deve manifestare come confermato anche dalla testimonianza del commissario straordinario e dal suo accorato racconto sui rimedi trovati insieme alla comunità e agli altri amministratori”.

Per quanto riguarda invece gli strumenti di prevenzione, il legale ha incitato gli locali “a proseguire sulla strada dei Protocolli per la legalità, che se non sono la soluzione, sono certamente una soluzione: abbassare, e di molto, la soglia del valore degli appalti da verificare, significa che il controllo diventa invasivo e anche questo processo ci conferma che quando tocchi gli interessi patrimoniali, tocchi tutto”.