La Regione Emilia-Romagna ha presentato ricorso alla Consulta per profili di incostituzionalità di alcune norme su scuola, casa, formazione, sanità e assistenza sociale e patrimonio regionale.
Gilli: “Norme che tradiscono lo spirito del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni”.


“La Giunta regionale ha deciso di contestare la manovra su quelle norme che tradiscono lo spirito del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni, anche in relazione al ruolo
della Regione Emilia-Romagna in seno alla Conferenza delle Regioni. Principio di lealtà che sta ispirando fortemente l’azione politica delle
Regioni come ha dimostrato, da ultimo, il contributo fattivo dato al testo della Riforma del Federalismo fiscale del ministro Calderoli”.

Così Luigi Gilli, assessore regionale allo sviluppo territoriale, cooperazione col sistema delle autonomie e organizzazione, commenta il
ricorso presentato alla Corte Costituzionale, dalla Regione Emilia-Romagna, sulla manovra finanziaria del Governo.
I profili di incostituzionalità, secondo il ricorso, riguardano diverse materie – tra cui la scuola, la casa, la formazione, la sanità e l’assistenza sociale e il patrimonio regionale – nelle quali risultano violazioni di competenza dello Stato rispetto alle Regioni. Si tratta di materie contenute nella manovra finanziaria anticipata a luglio (il decreto legge 112 convertito nella legge 133).

“Invece di proseguire nel decentramento delle funzioni – spiega Gilli, assessore regionale allo sviluppo territoriale, cooperazione col sistema
delle autonomie e organizzazione – il Governo invade materie di competenza delle Regioni, rendendo meno efficace il lavoro e le
decisioni delle Istituzioni che, al contrario, dovrebbero essere più coordinati e integrati”.

Il ricorso della Regione Emilia Romagna (come di altre Regioni) riguarda anche l’articolo 3 – in materia di scuola – del decreto legge 154 che
prevede, tra l’altro, il commissariamento delle stesse Regioni che non ottemperino, nei modi e nei tempi previsti dal Governo, al ridimensionamento (i cosiddetti accorpamenti delle scuole) degli istituti scolastici.

Un’altro punto oggetto del ricorso riguarda l’edilizia. La Regione chiede il pronunciamento della Corte sul “Piano casa nazionale” contestando il forte accentramento, di funzioni e di risorse, in una materia di chiara competenza regionale. Il Piano, tra l’altro, prevede anche il taglio di risorse (550 milioni di euro complessivi, a livello
nazionale, per le aree a forte tensione abitativa) già stanziate per altri piani di interventi di edilizia sociale. Per l’Emilia-Romagna quelle
risorse significavano 32 milioni di euro, con cui la Regione – aggiungendo finanziamenti propri per 15 milioni di euro – prevedeva di recuperare 1830
alloggi sfitti.

Sempre in materia edilizia, è richiesto anche il giudizio sul dispositivo che prevede la vendita degli alloggi pubblici: il Governo promuove l’alienazione di un patrimonio che non è suo (in Emilia Romagna è dei Comuni) e regolamenta una materia sulla quale la Corte Costituzionale ha già ritenuto illegittimo l’intervento dello Stato.

Occorre ricordare, infatti, che l’articolo 13 della legge 133/2008 ha la stessa struttura ed anche gli stessi contenuti dei commi 597-598 della
legge 266/2005 (legge finanziaria del 2006, approvata dal precedente Governo Berlusconi), dichiaratati illegittimi dalla Corte Costituzionale
con la sentenza 94/2007.
Altre norme oggetto del contenzioso sono quelle relative alla formazione, che di fatto espropriano le Regioni nel determinare i contenuti formativi dell’apprendistato.

In ambito sanitario, si contestano le norme che impongono inaccettabili tagli finanziari alle Regioni. E’ stato anche impugnato l’articolo che
istituisce la “social card” poiché invade la competenza delle Regioni sull’assistenza sociale alle fasce più deboli: proprio alle Regioni
dovrebbero essere destinate le risorse per gli opportuni e già programmati interventi.

Incostituzionale per la Regione Emilia-Romagna anche la norma che fissa la vendita obbligata del patrimonio regionale, prevedendo trasformazioni e
modifiche urbanistiche decise a livello centrale.
Contestato anche il mancato coinvolgimento delle Regioni sull’utilizzo di fondi nazionali per le reti infrastrutturali e per l’economia (come le
attività produttive ad alto contenuto di innovazione e i fondi per le aree sotto utilizzate, il Fas).