“Di fronte a quella scelta finale c’è chi la compie e c’è chi invece ritorna. Ed è una scelta personale”. È questo il cuore del libro “Una questione di soggettività. Genesi del brigatismo a Reggio Emilia”, presentato mercoledì 12 settembre alla Sala I Cento Passi di FestaReggio. La scelta finale è quella della lotta armata, che diede vita al nucleo reggiano delle Brigate Rosse. Ed è proprio questa scelta personale che la giovane autrice scandianese Giulia Saccani analizza nel suo libro, tentando di inquadrarla in un contesto generale e di trovare una linea di demarcazione tra l’influenza dei fattori “ambientali” e le motivazioni personali.

L’analisi di Saccani – che ha basato il libro sulla propria tesi di laurea specialistica – prende in considerazione alcuni aspetti sociali e politici del “modello emiliano”, che insieme a certi “valori condivisi” hanno contribuito a creare un microcosmo del tutto particolare nella Reggio degli anni ’60. Su cui si innesta un altrettanto peculiare fermento giovanile, in area cattolica e in area comunista, che sfocerà poi nel dissenso verso i partiti e in una certa effervescenza politica e culturale tipica di quegli anni. “L’Appartamento non era un caso isolato – dice Saccani – a Reggio c’era tanta voglia di capire, di conoscersi, di confrontarsi al di là della logica dei partiti”.

Un contesto storico e territoriale che ha influenzato tanto i protagonisti di quegli anni. Ma non del tutto. Perché – ed è questa la tesi dell’autrice – la scelta della lotta armata è stata soprattutto “una questione di soggettività”. E proprio per dare spazio ai punti di vista personali di alcuni dei protagonisti del periodo, il libro si chiude con le interviste a Prospero Gallinari, Loris Tonino Paroli, Roberto Ognibene, Vainer Burani e Loris Cavalletti.

Molto interessante anche il confronto tra i giovani di oggi e quelli di allora, grazie alla sollecitazione di Nadia Lusetti del Direttivo di Istoreco, che ha dialogato con Saccani. “Nella mia generazione – dice l’autrice, classe 1985 – è forte il sentimento di non poter veramente cambiare le cose, mentre negli anni ’70 i giovani pensavano di poter fare la differenza, di poter cambiare il mondo”.

Giovane anche la casa editrice che pubblica questo lavoro, Bébert edizioni, creata da Matteo Pioppi; il ventinovenne editore ha presentato i prossimi progetti editoriali e il lavoro di Bébert, basato sull’utilizzo di programmi open source e l’attribuzione agli autori dei diritti (con licenze Creative Commons), all’insegna di un risparmio “sulle cose superflue” e un’attenzione costante al contenuto dei libri pubblicati.