Interventi per prevenire le mutilazioni genitali femminili e sostenere chi ne è vittima attraverso l’ascolto e l’accompagnamento. Corsi di formazione e aggiornamento per gli operatori, insieme ad attività di informazione in grado di sensibilizzare la popolazione. Sono le “azioni” che la Regione Emilia-Romagna progetta di realizzare con gli oltre 380mila euro che le verranno assegnati dal governo (complessivamente 3 milioni, a livello nazionale) in base a un’intesa per la prevenzione e il contrasto della pratica. Una pratica che ha menomato, in base alle stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, dai 100 ai 140 milioni di donne nel mondo, con circa 3 milioni di potenziali vittime ogni anno. Le mutilazioni sono presenti anche in Italia, seppure in modo sommerso. “Non dobbiamo affrontare un argomento come quello delle mutilazioni genitali femminili da soli, ma aprirci al confronto. Non giudicare, ma costruire insieme percorsi di cambiamento” ha sottolineato l’assessore alle Politiche sociali Teresa Marzocchi in apertura del convegno “L’approccio dei servizi socio-sanitari alla pratica delle MGF tra modello terapeutico, preventivo, salutogenico”, promosso da Regione e Ausl di Bologna, che si è svolto oggi in occasione della Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili. Durante il convegno è stata presentata una ricerca (che ha coinvolto numerosi partner, nazionali e internazionali) con questionari rivolti a 268 donne italiane, 80 straniere e 212 operatori socio-sanitari dell’Emilia-Romagna. Uno degli aspetti che sono emersi riguarda la tendenza a considerare in maniera quasi analoga, da parte sia delle italiane che delle straniere immigrate, le mutilazioni genitali come una violazione dei diritti delle donne e, in quanto tale, una pratica da contrastare ed eliminare. “La ricerca realizzata dall’Ausl di Bologna affronta la questione da un punto di vista delle rappresentazioni sociali – ha aggiunto l’assessore Marzocchi – . E difatti la pratica delle mutilazioni non va letta unicamente sotto l’aspetto sanitario, ma con un approccio interculturale. Anche su questo tema è importante lavorare per reti territoriali: fondamentale comunque – ha concluso l’assessore – è formare il personale in modo specifico su quest’argomento, far crescere la nostra cultura per dare risposte appropriate e creare i presupposti perché queste pratiche vengano ripudiate”.